ESCLUSIVA TLP - Mi ritorni in mente: Nicola D'Ottavio

Si giocava per passione e non solo per denaro. Il calcio degli anni '80 e i primi anni '90 era, almeno in Serie C, questo. Il profumo della sfera, rigorosamente in bianco e nero, aveva un sapore particolare. Quel cuoio che sentivi nelle narici anche di notte e che la tv ti faceva solo vivere per qualche istante, come una posa erotica e tu andavi a letto con quella sensazione.
Dovevi saper giocare a calcio per poter competere, non erano concesse deroghe. Si giocava con il libero staccato, rigorosamente a dieci metri dagli altri. Il fuorigioco ancora era un'opzione usata raramente. Vivacchiare non ti era concesso, dovevi dimostrare il meglio. E se non c'era: la panchina come unico sfogo. Oggi la fisicità ha preso il sopravvento sulla tecnica e uno come Nicola chissà quanto patirebbe il gioco fatto di movimenti come su una scacchiera. Lui che era abituato a rubare l'attimo e viveva per il gol.
Quasi duecento reti in carriera e non sentirle. In quegli anni i difensori sapevano fare il proprio mestiere e se volevano conservare il posto, quando la competizione era spietata, non ci andavano mica lisci se dovevano impedire alla punta avversaria di segnare. I tacchetti come cartolina da portare con se per tutta la domenica notte e spesso il martedì ancora ti duoleva un po. Ma quando nasci bomber, hai sempre quel colpo, quel guizzo, quella magia che ti prepara all'esultanza.
A Benevento Nicola D'Ottavio è stato un po come il ritratto per Dorian Gray. I tifosi giallorossi si specchiano nel ricordo di un bomber che al "Santa Colomba" ha fatto palpitare tanti cuori al grido di "Nico gol, Nico gol".
Insieme a lui una città intera ha pianto di gioia, si è emozionata e non c'è tifoso giallorosso che non ha i lucciconi quando pensa a quel Benevento. Era un'Italia più umana, più a misura d'uomo ed anche il calcio si adeguava a quel trend. Gli eccessi erano consentiti, nessuno storceva il naso se qualcuno alzava le mani, perchè c'era il rispetto che oggi tutti vagheggiano, ma in pochi ricordano cosa sia.
Nicola D'Ottavio, protagonista di questo 34° appuntamento con "Mi ritorni in mente". Con lui omaggeremo, in questa intervista esclusiva a TuttoLegaPro.com, la tifoseria sannita, vogliosa com è di andare in B, ma ogni volta il sogno che sembra tramutarsi in realtà, diviene utopia e quanti bocconi amari manda giù la città giallorossa, ma sempre passionale e convinta che quel giorno non è così lontano. Basta crederci.
Nicola D'Ottavio attualmente cosa fa?
"Ho l'abilitazione da Direttore sportivo, ma non lavoro. E' diventato difficile il mondo del calcio negli ultimi anni".
Cosa si è complicato?
"Questa professione è fatta di competenza, invece ormai si lavora per altre motivazioni che non c'entrano nulla con il calcio".
A cosa si riferisce in particolare?
"Si lavora solo se porti degli sponsor e il ruolo del Direttore sportivo è passato in secondo piano, quasi un passacarte. Non è più il mio calcio, mi dispiace e lo dico con una punta di amarezza".
Com'era il suo calcio?
"Fatto di stima e di rapporti veri, non di magheggi come oggi. Ci si batteva per prendere un giocatore, nessuno ti regalava niente Ormai si punta solo a far soldi e una società prende quell'allenatore piuttosto che quell'altro, quel Ds non perchè bravo, ma esclusivamente perchè porta soldi. In questo modo si mercificano ruoli che sono fondamentali per una società di calcio".
Quando si è vissuta un'epoca in cui tutto era diverso, fa male vedere che altri, venuti dopo di te, sporcano quella passione. Una passione che è nata presto, che ha portato Nicola D'Ottavio giovanissimo a lasciare casa. E partiamo proprio da qui...
Lei giovanissimo esordisce nel Giulianova.
"E ricordo ancora adesso il pianto dei miei genitori. Da Agnone a 16 anni mi trasferivo a circa 200 km da casa e per loro era un trauma, avendomi sempre avuto in casa. In quegli anni era difficile trovare qualcuno che si spostava così lontano".
Questo aspetto viene fuori spesso con i protagonisti di "Mi ritorni in mente". Con il passare degli anni, i trasferimenti distanti sono divenuti una consuetudine, ma prima era completamente diverso. Il raggio d'azione di un calciatore era sempre quello di rimanere in zona. E quelle volte che uno di loro si spostava più lontano, era quasi visto come un alieno.
E come si viveva quella esperienza, la prima lontano da casa?
"Era il sogno di bambino che si realizzava. Era come toccare il cielo con un dito".
Nicola al telefono sorride quando ci parla di queste cose. Si sente un pizzico di emozione nel ricordare questi pezzi della sua carriera.
"A 20 anni esordisco in A con il Verona, ma sono sfortunato perchè ho la pubalgia. Se c'è un infortunio più brutto da cui guarire è proprio la pubalgia. Quando sembrava che fossi ormai a posto, entravo in campo e a venti minuti dalla fine mi piantavo lì e non riuscivo più a muovermi".
Magari senza pubalgia la sua carriera...
"Ci penso qualche volta, perchè la serie A ma sono contento della carriera che ho fatto. In fondo mi sono divertito e ho fatto ciò che mi piaceva di più".
Quanto è cambiato il calcio rispetto a quando c'era lei?
"Molto! Nelle mie esperienze da Direttore sportivo mi rendo conto realmente, toccando con mano, una realtà completamente diversa rispetto a quando mettevo gli scarpini".
In cosa differisce in particolar modo?
"Nel rispetto che non c'è più. Le faccio un esempio: quante volte leggiamo che un giocatore - bravo quanto vogliamo - non gioca? E ci chiediamo il perchè?".
Perchè?
"Perchè per giocare a calcio non basta solo saper gestire il pallone, ma devi essere capace di saperti comportare e usare la testa. Con tutti. I giocatori di oggi hanno dei privilegi che io mi sognavo: ad esempio le discoteche. Quando giocavo, era impossibile per me. Erano proibite. Se ti beccavano lì dentro, oltre alla multa - molto salata - c'erano provvedimenti disciplinari pesantissimi. Il calcio è si passione, ma è anche sacrifici, voglia di rischiare e mettersi sempre in discussione. Cosa che i ragazzi di oggi non vogliono più fare. Se non in minima parte".
Nella sua carriera quasi 200 gol, in piazze importanti come Casertana, Barletta, Taranto
"E potevo farne anche di più. Fino a 25-26 anni correvo molto e la porta la inquadravo poco. Ad un certo punto arrivato a quell'età ho cominciato a pensare che correre molto mi allontanava dal ruolo che avevo: cioòè far gol. E i risultati hanno iniziato a darmi ragione, segnando a grappoli".
Era una Serie C completamente diversa.
"Negli ultimi anni la Lega Pro ha puntato molto sui giovani e la cosa che non è che mi piaccia molto. Ci sono troppe situazioni, un po come le dicevo prima, in cui i giocatori pagano per giocare o portano lo sponsor e questo rende la qualità meno evidente rispetto all'idea che in sé non è sbagliata. Ma è come viene utilizzata che non va bene".
Chissà se un D'Ottavio oggi segnerebbe con la stessa facilità con cui segnava prima.
"Segnerei anche di più".
Addirittura?
"Ma certo! Un tempo c'era la marcatura a uomo, costantemente a uomo dal primo al novantacinquesimo minuto e se volevi giocare dovevi usare l'astuzia per beffare il difensore avversario. Miglioravi giocando sotto un certo aspetto e questo ti rendeva ogni volta sempre più forte, perchè riuscivi dove il difensore non avrebbe mai pensato. Mentre oggi con le difese in linea tutto per me diventerebbe più facile. Non per niente negli ultimi anni della mia carriera il numero delle mie reti era aumentato in maniera esponenziale grazie proprio all'utilizzo delle difese schierate in linea e senza la marcatura asfissiante del difensore che mi consentiva movimenti più letali in zona gol".
Adesso parliamo un po di Benevento e del suo rapporto con questa città.
"A livello affettivo io porto questa città nel cuore. E come potrebbe essere diversamente. Nella mia carriera ho giocato in parecchie piazze importanti, ma l'affetto che la gente di Benevento mi ha dato non la dimenticherò facilmente. Ho vinto due campionati e abbiamo perso uno spareggio con la Turris quando io ero Direttore sportivo".
Eppure la B non arriva
"Benevento è una piazza importante e non lo scopro io. Perchè la B non arriva? Ma io credo che non sempre l'equazione: soldi spesi porti ad un risultato equivalente alla spesa. Lo sport non si può legare a questa logica. Prendiamo il caso del Lanciano. Non appena la società ha capito che i tanti investimenti non portavano i frutti sperati, ha ridimensionato in maniera drastica il budget da investire sul mercato ed è arrivata la B. Non esiste una ricetta univoca per arrivare in alto".
Nico gol Nico gol urlava lo stadio quando lei indossava la maglia giallorossa.
D'Ottavio sorride a questa domanda e la sua emozione traspare anche dalla risposta: "E' stato tutto molto bello. Il calcio ti sa regalare sensazioni indescrivibili e sono felice di aver giocato in una città che mi ha trattato come meglio non potevo".
Il sorriso rimane sospeso nell'etere e la voce rimane per qualche istante come immobile a gustarsi quella domanda, che sembra una droga che entra in circolo.
Con lei ha giocato anche Silvio Paolucci: eravate i gemelli del gol.
"Silvio è una persona enorme. Lui mi ha fatto da compare d'anello e io gli ho fatto testimone al battesimo della figlia. Viviamo ad un tiro di schioppo uno dall'altro e stiamo insieme ogni giorno. Insieme abbiamo fatto cose davvero egregie a Benevento. Ci completavamo a vicenda".
Secondo lei si può separare la professionalità dal sentimento?
"Ho capito il senso della sua domanda. Credo che sia difficile per un semplice motivo: la carriera di un giocatore è molto breve e deve cercare di sfruttare appieno ogni occasione che gli capita e guadagnare il più possibile. Però con questo non significa che se stai bene in una città non devi mostrarlo".
Il gol più bello con la maglia del Benevento?
"Sicuramente uno contro il Taranto. Tunnel sul difensore, ne scarto un altro e batto il portiere. Roba che oggi raramente si vede in giro".
L'ultima domanda è un classico di "Mi ritorni in mente": dovesse richiamarla il Benevento?
"Benevento è il massimo e ci tornerei più che volentieri. Sono però abituato a rispettare il lavoro altrui e auguro alla dirigenza attuale di fare un ottimo lavoro e portare i giallorossi più in alto possibile. Io sono sempre il loro primo tifoso".
Prossimo appuntamento con "Mi ritorni in mente": domenica 7 luglio.
Testata giornalistica Aut.Trib. Arezzo n. 7/2017 del 29/11/2017
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