ESCLUSIVA TLP - Mi ritorni in mente : Dante Micheli

ESCLUSIVA TLP -  Mi ritorni in mente : Dante MicheliTMW/TuttoC.com
© foto di Matteo Bursi
domenica 26 ottobre 2014, 22:30Interviste TC
di Daniele MOSCONI
69° appuntamento

Il mondo, visto con gli occhi delle donne assume un colore diverso. In particolar modo se con una donna si parla di calcio. Le sfumature ricercate con i protagonisti della domenica, vengono fuori in maniera naturale quando c'è una rappresentante del gentil sesso davanti che ti racconta il suo essere figlia di un ex calciatore.

Stefania Micheli è figlia del compianto Dante, autentica bandiera del Mantova, nato nell'omonima città nel 1939, ha iniziato la sua carriera con i colori biancorossi nel 1955 per concluderla quasi vent'anni dopo nel 1973. Sarebbe inutile fare qui un wikipedia in miniatura di Dante Micheli.

Non avrebbe senso.

Lo hanno invece le parole di Stefania. Una donna che a distanza di due anni dalla scomparsa del padre è ancora innamoratissima di quella figura che non scompare mai un solo istante dai suoi pensieri giornalieri.

Le maglie, a distanza di tanti anni, mangiate dalle tarme, l'odore dello spogliatoio dopo la partita, il profumo del padre quando la sera dopo la partita la abbracciava forte. La ricerca delle sfumature, ricordate? Stefania in questa intervista esclusiva concessa a TuttoLegaPro.com per "Mi ritorni in mente", ci ha dato un assaggio di come sia diverso e per certi aspetti affascinante, vedere il calcio con l'occhio di una donna. 

Lei è la figlia di una bandiera del calcio mantovano. Quanto la inorgoglisce questa cosa?

"Tantissimo. A parte che io sono sempre stata orgogliosa di mio padre".

Stefania ha spesso delle pause naturali tra un pensiero ed un altro: parlare del padre la rende visibilmente emozionata e dall'altra parte del telefono la sua voce si rompe in alcuni passaggi, travolta da sensazioni incontrollabili che noi ci siam visti bene di interrompere.

"Quando mio padre è arrivato all'apice della sua carriera calcistica, ero una ragazzina e i ricordi di allora a distanza di anni sono parecchio sfuocati. Quando è tornato a Mantova (nel 1967, ndr) c'è un particolare che mi è rimasto impresso: quando camminavamo in strada, i ragazzini lo fermavano chiedendogli l'autografo e mi inorgogliva la cosa, al punto che dicevo: ma questo è il mio papà".

Stefania oltre all'orgoglio, riconosce che la figura paterna l'ha condotta nel mondo del calcio.

"Non posso negare che sono cresciuta a pane e calcio e ancora oggi in casa con la tv che lo trasmette a tutte le ore, sono un'appassionata. Mia mamma diceva spesso che il calcio era la donna con cui mio padre la tradiva. D'altronde lui amava la sua professione, ci metteva il cuore. Forse ne ha messo troppo. Mi spiego meglio: doveva essere un po' più menefreghista e questo non l'ha mai fatto neanche nella sua carriera da Direttore sportivo quando ha appeso gli scarpini al chiodo. Quando era a Udine, per dirne una, era Direttore generale e per non legarsi, tra virgolette, a personaggi politici, ha preferito defilarsi. Questo avveniva qualche anno prima che la stessa società passasse all'attuale proprietario del club friulano, Giampaolo Pozzo. La stessa cosa è successa qui a Mantova. Quando la società è fallita sotto Grigolo, mio padre era il responsabile del settore giovanile - fiore all'occhiello di ogni club che si rispetti - è stato interpellato per fare il Direttore sportivo. Tornò il presidente Freddi - con cui mio padre aveva già lavorato - acquisendo il titolo sportivo. In questa gestione sono venuti fuori i difetti, se così vogliamo chiamarli, di Dante Micheli: quello di schierarsi sempre e comunque con la squadra. Questo alla lunga l'ha messo in cattiva luce e dopo aver vinto il campionato, in molti sono saliti sul carro del vincitore e questo ha permesso ad alcuni di fargli le scarpe".

Chi, secondo lei gli ha fatto le scarpe?

"Adesso è assessore allo sport a Mantova, Tondini. Questa cosa l'ha amareggiato parecchio e per qualche tempo aveva deciso di non avere più niente a che fare con questo mondo. E' stato coinvolto in altre situazioni. Lo hanno chiamato società di serie A come il Torino - quando c'era Sandro Mazzola - per fare l'osservatore".

Mettersi dalla parte dei giocatori non sempre giova.

"Lui considerava i suoi giocatori come dei figli. Con certi, a distanza di anni, ancora si sentivano. E posso dirvi che nei giorni scorsi ho incontrato un suo ex compagno di squadra che mi ha detto parole molto belle su mio padre: conservo di lui un ottimo ricordo e lo porto sempre nel cuore. Lei capisce che quando senti queste parole, l'orgoglio ti fa viaggiare a tre metri da terra. La sua mancanza si sente e in certi giorni ti entra nelle ossa fino a farti male".

Che cos'è stato suo padre?

"Un grande uomo in primis, un grande sportivo e soprattutto a livello umano. Non tragga in inganno che a dire queste cose sia io che sono la figlia. Gli attestati di stima - dopo la sua scomparsa - sono venuti anche dagli altri e questo ti fa capire la sua enorme statura morale".

Le fa un po' male il fatto che le persone abbiano apprezzato l'immagine di Dante Micheli quando è scomparso?

"Un pochino ti dà fastidio. Però dopo c'è sempre il rovescio della medaglia: va bene, lo ricordano adesso che è una gran persona. Questo ti porta a pensare che qualcosa Dante Micheli l'ha lasciato, a prescindere che se ne siano accorti quando non c'era più. Essere profeti in patria non è mai facile. Quando era a Mantova è stato sempre criticato, sia da giocatore che da dirigente. Ora le riconoscenze alla sua figura lo riabilitano agli occhi di molti e nonostante ciò io sono felice di questo".

E' stato istituito il premio "Dante Micheli", al miglior giovane del calcio mantovano.

"E questo avvalora maggiormente il mio pensiero: Dante Micheli qualcosa alla città di Mantova l'ha lasciato, innegabile".

Suo padre ha vinto - alla memoria - il "Virgilio d'oro", premio che va al mantovano che si è fatto valere nel mondo.

"La mattina della premiazione è venuta la delegazione della Fiorentina. A Firenze ha giocato due anni - ad inizio anni '60 -, vincendo la Coppa delle Fiere nella finale ad "Ibrox Park", venendo soprannominati i "leoni di Ibrox". I viola ancora oggi lo ricordano e siamo in contatto con loro. Questo è molto bello e positivo".

A Mantova?

"Lasciamo stare".

Ci scusi, cosa vuol dire?

"Quando è venuto a mancare mio padre, qualcuno che ha vissuto il "piccolo Brasile" (nomignolo che un giornale diede ai virgiliani per il loro modo di giocare), ha chiamato in sede, come a dire: scusate, ma Dante Micheli è morto e voi?".

La voce per un attimo si ferma. Il silenzio interrotto dopo alcuni secondi riporta parole gelide da parte di Stefania Micheli.

"Si sono presentati con una maglia anonima del Mantova. Lasciamo perdere, lasciamo perdere, lasciamo perdere. Lì ho mangiato rabbia. Non era il momento di fare polemica. Sono dell'idea che, conoscendo com'era mio padre, non gli avrebbe fatto piacere. Sono state più le società dove ha giocato - Foggia, Spal, Fiorentina, Milan (una tournée estiva disputata nel '66, quando sembrava che Micheli potesse passare ai rossoneri, ndr). Questi ultimi, nonostante una breve apparizione con quella casacca, l'hanno ricordato con due righe e l'abbiamo apprezzato molto questo gesto. Diciamo che il Mantova calcio non ha fatto niente. Se non portare una maglia anonima. Quando si sono visti arrivare la Fiorentina calcio in pompa, con i rappresentanti del museo viola, tutti sono rimasti a bocca aperta. Erano in quattro della Fiorentina con lettera del presidente Della Valle. Devo aggiungere altro?".

Il sapore amaro di queste parole viene mitigato dal ricordo di Stefania della sua infanzia con il padre.

"Sono nata che mio padre era alla Spal e non ricordo nulla della sua esperienza a Ferrara. I primi anni di vita li ho vissuti a Foggia e qui l'album dei ricordi è più nitido: amicizie vere, gente cordiale. Tra i tanti compagni di squadra c'erano Roberto Oltremari, Vasco Tagliavini, Giorgio Maioli, per dirne alcuni. Con le famiglie c'era un rapporto molto stretto. Quando ero piccola, mi portava al campo e scorazzavo sul manto erboso. Mi divertivo da morire. Ma soprattutto ricordo che abitavamo al quinto piano di un palazzo e c'era una terrazza enorme".  

A questo punto viene spontanea la domanda: chi era Dante Micheli?

"Era tutto. Da piccola lo vedevo come il mio campione, come il mio eroe. Devo dire che ho iniziato a vivere mio padre appieno, quando ha deciso di mollare la sua professione. Prima, quando io ero piccola, lui giocava. Quando io crescevo, era impegnato nel suo ruolo di Direttore sportivo. Ha lavorato a Piacenza, a Trieste. Quando ha lavorato a Cagliari, veniva a casa ogni quindici giorni. Da allora ho iniziato a conoscerlo di più come uomo, ad apprezzarlo ancora di più. Ha fatto tanto per me mio padre. Sono stata la pecora nera della famiglia: mia sorella studiava, mentre io non amavo lo studio. Lei si è laureata, io no. Ero un peperino. Con mia madre litigavo soltanto. Non ho mai avuto un rapporto cordiale con mia madre. Sono arrivata al punto che scrivevo a mio padre quando lavorava a Trieste. Volevo andare da lui. Era il mio confidente e molti dei nostri dialoghi mattutini lui se li è portati con sé. Ecco perché quando è venuto a mancare, era l'aria che andava via. Anche adesso, vorrei averlo al mio fianco, quando devo affrontare certe situazioni, farlo senza di lui mi sembra che perda di senso. Lui c'è sempre stato, per me, per la famiglia e per i nipoti. Leonardo (il figlio di Stefania, ndr), l'ha vissuto da piccolo e ora che sta crescendo, c'è il rammarico che lui non possa viverlo come lo stesso Leonardo vorrebbe. Mio figlio è stato sempre molto legato al nonno, più che alla nonna".

Le parole di Stefania arrivano al culmine.

"Sono innamorata di mio padre. E da lì non mi muovo".

Quando la faceva arrabbiare suo padre?

"Quando facevo i capricci. Lui era sempre pronto a dire no. Alle volte mi contestava le mie decisioni e ci scontravamo anche a causa di un carattere molto vispo e poco avvezzo a rispettare le regole".

Invece quando la faceva sorridere?

"Mi faceva sorridere sempre. Era con la battuta pronta. Era un piacere stare in sua compagnia. Non ho dei momenti particolari. Lo erano tutti. Ogni momento era buono per scherzare, per ridere, per sorridere".

Oggi è diverso, ma in quegli anni quando suo padre giocava in trasferta, le partite dovevate seguirle per radio, tramite "Tutto il calcio minuto per minuto".

"Mia madre sì. Quando era a Ferrara si radunavano le famiglie per stare insieme. Noi bambini eravamo intenti a giocare, ci interessava poco. La cosa differiva quando giocava in casa".

Il motivo?

"Se capitava che perdevano, l'ambiente in casa diveniva, almeno ai miei occhi, di paura. Tornava arrabbiato e dovevi stare attenta a quello che si diceva e non fare capricci. Quando vinceva invece era felice, scherzava. Il calciatore diventa umorale nella sua carriera. C'è una cosa che mi torna alla mente ricordando mio padre: il profumo di olio di canfora quando tornava dalla partita. Inondava la casa con quel profumo e io godevo nell'abbracciarlo".

Gli odori dello spogliatoio.

"Ce li ho ancora nel naso. L'odore dell'erba, il vapore della doccia e i vari profumi che uscivano dallo spogliatoio. Una sensazione indescrivibile".

Avrà avuto un debole per qualche giocatore...

"Come no! Ricordo che da adolescente mio padre mi portava allo stadio e c'era un certo Pardini che giocava nel Mantova. Quando lo vedevo mi batteva il cuore. Mi ero presa una bella cotta. A prescindere da questo, c'è il ricordo del dispiacere nelle perdite dei vari Lizzari - mantovano come mio padre - ed Erasmo Iacovone. Gente che ha lasciato un bel ricordo".

Chiacchierando con Stefania, i particolari vengono fuori da sé, senza il bisogno di forzarli.

"Di partite di mio padre non ne ho viste tantissime. Ricordo che quando perdevano, piangevo. C'è stato un periodo che rimanevo a casa con i nonni. Crescendo, con mio padre che era Direttore sportivo, diventavo tifosa e ogni tanto c'era delle discussioni in tribuna. A lui non piaceva che io urlassi. Pretendeva un comportamento consono ad una signorina composta. Ruolo che non mi è mai piaciuto".

Proseguendo, si entra in un mondo fatto di colori diversi.

"Oggi vado a vedere il Mantova in curva con gli ultras. Non riuscirei a vederla in tribuna".

Cosa non piaceva a Dante Micheli del calcio?

"Negli ultimi anni, quando ormai era fuori dal giro, si lamentava delle scommesse. Gente che fregava i presidenti, che faceva i suoi porci comodi. Quando giocavamo noi era tutto diverso, era il suo pensiero ricorrente. Devo ammettere che quando tornava a casa, il suo lavoro lo lasciava fuori dalla porta. C'era la sua famiglia. Chiedeva se eravamo andati allo stadio, ma tutto si limitava a poche parole".

Le maglie di suo padre ancora le conserva?

"Quelle di quando giocava con la Fiorentina sono conservate nel museo viola. Mia madre ancora oggi conserva la maglia di lana della nazionale - mangiata dalle tarme (sorride, ndr) -". 

L'ultimo pensiero non è una domanda e lo lasciamo interamente a lei.

"Voglio farvi partecipi di un momento che abbiamo vissuto con mia nipote, il giorno che ci hanno consegnato il "Virgilio d'oro". Lei, rivolta a noi ha detto: il nonno, è andato in cielo e gli angioletti quando l'hanno visto sono diventati tristi. Lui subito li ha ammoniti nel non essere per nulla dispiaciuti. Per far sì che sorridessero, ha preso un po' di nuvola, ne ha fatto un pallone e si è messo a giocare a calcio con loro".

"Ogni tanto mi torna alla mente qualche dubbio: gli avrò dimostrato tutto il mio affetto? Sono tanti i pensieri. Ci sono anche i sorrisi. I momenti di felicità trascorsi con lui. Guardare le sue foto fa nascere il sorriso dal cuore e allevia per un attimo la sua mancanza. Per fortuna, lui quando c'era da divertirsi, non si tirava mai indietro".

Prossima intervista per "Mi ritorni in mente": 9 novembre 2014