ESCLUSIVA TLP - Mi ritorni in mente : Alessandro Altobelli

ESCLUSIVA TLP -  Mi ritorni in mente : Alessandro AltobelliTMW/TuttoC.com
Alessandro Altobelli
© foto di Andrea Pasquinucci
domenica 9 giugno 2013, 23:05Interviste TC
di Daniele MOSCONI
33° appuntamento

"... Gentile riesce a liberare. Conti, contropiede: tre contro due, siamo in vantaggio. Va in avanti Conti. Traversone. Altobelli: e sono tre e sono tre. Altobelli, terzo gol di Altobelli ... ". Campionato del mondo di Spagna 1982, stadio "Bernabeu" di Madrid. La scena vista migliaia di volte non stanca mai: la corsa di Bruno Conti con quel casco di capelli che lo rende ancora più eroico, il volto sfatto di Altobelli dopo aver segnato, quasi incredulo, gli azzurri che si abbracciano, il replay della tv, Sandro Pertini che guarda dinanzi a lui e commosso mantiene il suo classico aplomb di uomo di Stato, per voltarsi un istante dopo con il dito indice agistato per dire "adesso non ci prendono più" verso qualcuno sulle tribune dietro di lui. La voce di Nando Martellini ancora oggi fa commuovere con la stessa intensità con cui l'inno di Mameli fa accapponare la pelle quando viene suonato. Il telecronista storico ha quell'effetto magico di far nascere lacrime di gioia sul volto di chiunque anche a distanza di trent'anni.

Chi c'era quella sera, ricorda la magia di quel momento. Ed ogni volta che viene raccontato, c'è sempre il sorriso di gioia di chi ha sentito veramente cosa significa essere italiani. Altri tempi, altra Italia. Più povera, ma con una dignità che si racchiudeva nella compostezza dello stesso Martellini al triplice fischio finale: "Campioni del Mondo, Campioni del Mondo, Campioni del Mondo". Le sguaiatezze dei telecronisti di oggi a confronto sono la dimostrazione di come sia cambiato questo paese.

Alessandro Altobelli, aveva quasi 27 anni e quella notte la porta dentro di sé. Ma prima di allora c'è una carriera che ha avuto inizio a Latina.

Nato a Sonnino, piccola località a pochi chilometri dal capoluogo pontino, viene scoperto quasi per caso dagli "scout" nerazzurri. Stiamo parlando del 1973 e Alessandro ha poco più di 18 anni. Classico centravanti, alto e magrolino sgomita per farsi rispettare e quell'esperienza a Latina gli serve per dimostrare quanto vale.

Nella sua storia ci sono state altre due società dopo Latina: Brescia e soprattutto Inter. Con il campione del mondo di Spagna '82, in questa intervista esclusiva per TuttoLegaPro.com, si è andato indietro nel tempo, com è nello stile di "Mi ritorni in mente", ma si è guardato al futuro del calcio in Italia, senza dare rimedi da medici o scienziati, ma cercando di guardarne le cause che hanno portato alla situazione attuale e provare a trovare soluzioni che siano propositive.

Alessandro, quel gol al "Bernabeu" ancora fa emozionare a distanza di tanti anni.

"Eh fa lo stesso effetto a me quando ogni tanto lo rivedo. Ma sai, già essere della spedizione era un lusso, figurati giocare la finale e per giunta segnare. Non ci sono parole".

Nell'abbraccio dei compagni di squadra intorno al numero diciotto della comitiva azzurra c'è tutto l'affetto e il brivido di gioia che si può provare in quei momenti magici. Il cielo comincia a sembrare più vicino e se si alza un dito, quasi se ne sente la sostanza di cui è composto.

Le Olimpiadi ci hanno regalato frammenti di ghiaccio sulla schiena, ma quelle immagini del "Bernabeu" colorato di azzurro, con quelle bandiere che sventolano, ancora adesso hanno un senso di magico. La voce di Nando Martellini aveva qualcosa di epico e più passano gli anni e più quel tono rispettoso del telecronista ci dà il senso pieno di sentirsi "campioni del mondo, campioni del mondo, campioni del mondo".

Quel tuo volto sfatto. Eri quasi incredulo.

"No no, mi ero anche accorto di aver segnato, ma in quel momento per la testa ti passano mille cose e non sai nemmeno come riordinarle. Si crea una confusione tale che non capisci più niente".

Fu anche un gran gol. Tocco a scartare il portiere e palla in rete.

"Ma tutti i gol delle finali sono belli. Chissà quanti firmerebbero per segnare in una finale di Coppa del mondo".

Prima di quella partita però tu sei partito dal basso. Agli albori della tua carriera hai fatto tanta gavetta.

"Eh si! Sono nato a Sonnino, piccolo paesino in provincia di Latina. Quando ero un ragazzino io, non c'era nemmeno il campo. Ho iniziato a giocare grazie ad un barbiere del posto che aveva allestito una squadra e nei tornei dove andammo a giocare, io feci bene e mi notò il Latina".

Ricordo il tuo esordio in maglia nerazzurra?

"Si certo. A Chieti, ma non fu un battesimo fortunato: sotto un certo aspetto si, perchè ho segnato subito, ma abbiamo perso per 4-1. Però mi comportai bene e poi il resto penso che lo sappiate".

Giovanissimo hai esordito.

"Non era facile in quegli anni che un ragazzino giocasse subito in prima squadra. Questo tipo di cultura è sempre rimasta in Italia".

Alessandro con questa risposta da inizio ad una serie di domande che hanno come unico comun denominatore i giovani e le difficoltà che trovano a giocare nel calcio italiano.

"Io sono drastico sotto questo aspetto. Credo che il calcio italiano vada completamente riformato dalle fondamenta perchè questo tipo di sistema non ha dato i frutti sperati. Anzi, li ha dati ma ormai sei fuori dal giro e devi ripensarti come cultura calcistica".

Sulla regola di "premiare" le società che schierano i giovani, come avviene in Lega Pro sei d'accordo?

"Sono d'accordo da una parte, ma dall'altra credo che alle società vada data la possibilità di camminare con le proprie gambe. Questa stampella che le leghe danno ai club poi va interrotta, altrimenti è un assistenzialismo continuo".

Alessandro, secondo te perchè la scuola italiana non riesce più a sfornare talenti come un tempo?

"Non sarei così drastico. C'è un problema nel calcio italiano, questo si è vero. Ma credo che molto dipenda anche da come vengono educati i giovani di oggi".

Spiegati meglio.

"Ma è semplice. I ragazzi di una volta avevano come prima maestra la strada. E' importantissimo questo aspetto. Adesso tutti a 5-6 anni vanno nelle scuole calcio, mentre prima ti sbucciavi le ginocchia. Tornavi a casa con i lividi. Ma lì nasceva il campione".

Mentre oggi l'aspetto tattico tende a irrigidire tutto lo spettacolo del calcio.

"Sotto un certo aspetto hai ragione. Un tempo la fantasia aveva più libertà, quella che oggi non c'è più".

C'è chi rimprovera una mancanza di professionalità a partire dai settori giovanili, i quali non fanno più il loro lavoro come andrebbe fatto.

"Verissimo, non vero. Guarda: con tutto il rispetto per il barbiere o il salumiere che a tempo perso si dilettano a fare gli allenatori, questi non si rendono conto che fanno il male di questi ragazzi. Quindi uno dei fulcri del problema è proprio la mancanza di cultura calcistica che porta dei danni incalcolabili ai giovani che vengono fuori impreparati dai settori giovanili. Con le nuove leve c'è bisogno di professionisti che sappiano cosa impartire e cosa imparare al ragazzino".

Li vedi molto impreparati?

"Sono grezzi e non sempre c'è il tempo di lavorare sotto certi aspetti. Vedo molte partite per lavoro (commentatore per Al Jaazira, ndr) e noto una carenza su certi fondamentali che un tempo anche in prima squadra ti veniva insegnato. All'Inter, ad esempio, ho avuto dei maestri prima che degli allenatori: Bersellini e lo stesso Trapattoni, ti insegnavano molto anche sui fondamentali, anche se eri grande, proprio perchè quel calcio che ho giocato io, era completamente diverso da questo".

Oggi si predilige la fisicità.

"Ed i risultati sono sotto gli occhi di tutti. A me non piace paragonare due epoche, perchè poi in fondo il calcio si riforma da se ed è un bene. Ma è anche vero che io ho avuto la fortuna di giocare con gente come Zico, Platini, Maradona. Personaggi che hanno realmente segnato il calcio di quegli anni e ancora oggi sono ricordati come campioni di un certo calibro".

Uno come Jupp Heynckes, tecnico che in questa stagione con il Bayern ha fatto il triplete, secondo te in Italia avrebbe potuto lavorare come gli è capitato, sapendo che non sarebbe stato riconfermato sulla panchina del Bayern?

"Credo che da noi non sarebbe potuto succedere, anche se parliamo di un allenatore esperto, che conosce i rischi del mestiere. Purtroppo noi in Italia viviamo con questo mito che chi vince, non solo ha sempre ragione, ma non riusciamo ad accettare che si possa chiudere un ciclo".

Stesso discorso si può fare per la Nazionale campione del mondo a Spagna '82 con il Ct Bearzot che al Mondiale dell'86 in Messico ha riconfermato il blocco vincente, convinto di riuscire a confermarsi.

"E questo è stato l'unico errore che gli imputa a Bearzot. Ma come ti dicevo: squadra che vince non si cambia, ma gli stimoli cambiano e questo ancora non riusciamo a capirlo a fondo. Un caso simile lo abbiamo avuto dopo Germani 2006, con il flop dell'uscita al primo turno in Sudafrica. Dobbiamo cominciare a capire che il calcio si evolve e tutto muta".

Cosa consigli su questo tema?

"Capire che quando si è vinto, andare a fare quei cambi che servono per aprire un nuovo ciclo. In Italia c'è troppa pressione e non c'è voglia di attendere, così si pensa erroneamente che il tempo non passi, ma purtroppo la battaglia contro quest'ultimo è persa in partenza".

Un tuo ricordo del Ct Enzo Bearzot?

"Uomo insuperabile e grande esempio di come si gestisce un gruppo. Uno degli artefici della costruzione della squadra vincitrice al Mondiale dell''82".

In quell'edizione di Spagna '82 ci fu il tanto criticato silenzio stampa. Di chi fu la decisione?

"Il Ct ce ne parlò una sera e noi ci trovammo tutti d'accordo che andava fatto questo gesto. Ci ricompattammo e andammo ad alzare al cielo quella coppa".

Mentre di Sandro Pertini, allora presidente della Repubblica, che ricordo hai?

"Uomo di Stato come realmente dovrebbe essere un politico e non come oggi, dove il tornaconto personale viene prima di tutto. Lui non solo ci seguì nelle partite più importanti, ma anche dopo, nelle celebrazioni per la vittoria della competizione ebbe parole stupende verso di noi".

Famoso quell'"Adesso non ci riprendono più" rivolto alle autorità alle sue spalle sul tuo gol.

"Quando lo vedo, ancora oggi mi fa accapponare la pelle".

Un Alessandro Altobelli adesso come si troverebbe in questo calcio?

"Guarda, ti stupirò: ma credo che segnerei almeno quaranta, cinquanta gola  stagione".

Non credi di esagerare?

"No no, anzi mi sono tenuto stretto. Ma ti ricordi di quando giocavamo noi? Per avere un rigore dovevano spararti in area. Adesso per come è fatto il calcio ci sono tante occasioni da gol ogni domenica e per un attaccante è più facile buttarla dentro. Sempre se trovi uno bravo però! Ecco perchè ti dico che uno come me, farebbe caterve di gol. Adesso tutti fanno le stesse cose, sembrano tessere di un domino".

Aiutaci a capire.

"Ti faccio l'esempio di Tardelli. Uno come lui era universale: sapeva fare tutto. Fase difensiva, offensiva, pressava, tirava. Oggi abbiamo come esempio un grande come Pirlo. Con tutto il rispetto, se non avesse uno come Vidal accanto a lui o non avesse avuto un Gattuso al Milan, ma vi rendete conto della sua utilità quasi fine a se stesso? Te ne faccio un altro: Gentile e Cabrini, prima di essere degli ottimi difensori, erano due attaccanti che spingevano come indemoniati e davano il via alla partenza delle azioni".

Un difensore che ricordi con parecchio fastidio, per la sua ruvidezza in campo ancora oggi, chi è?

"In area di rigore c'era Sergio Brio. Scarso con i piedi, ma giocatore che sapeva picchiarti il giusto. Erano sfide epiche".

In area: e fuori?

"A tutto campo c'era lo Zar: Pietro Vierchowod. Un vero killer, ma di quelli tosti però. A fine partita i suoi tacchetti stai certo che te li ritrovavi come un tatuaggio. Scherzi a parte: veloce, grintoso, ma come per Brio: non cattivo".

Prossimo appuntamento con "Mi ritorni in mente": domenica 23 giugno.