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Perugia, l'ex patron Santopadre: "Per alcune persone rappresentavo il diavolo"

08.10.2024 12:20 di  Marco Pieracci  Twitter:    vedi letture
Perugia, l'ex patron Santopadre: "Per alcune persone rappresentavo il diavolo"
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Sono starti dodici anni ricchi di eventi ed emozioni quelle di Massimiliano Santopadre al timone del Perugia. Un rapporto, quello fra l'imprenditore romano e il club umbro, iniziato nei primi giorni del 2011 dopo l'uscita di scena del precedente presidente, Roberto Damaschi e terminato il 7 settembre scorso con l'arrivo di Javier Faroni. Un rapporto, quello col Grifo che lo stesso ex presidente ha voluto raccontare attraverso i microfoni di TMW Radio all'interno della trasmissione 'A Tutta C':

Presidente, con il suo addio al calcio si è ulteriormente ridotta la rappresentanza dell'imprenditoria italiana nel pallone. Un elemento che manca terribilmente...
“Sono perfettamente d’accordo, le proprietà italiane e il Presidente con la P maiuscola manca nel nostro calcio. Ci stiamo sempre più spostando verso proprietà straniere che appaiono poco per ovvi motivi, lavorando con manager che non ci mettono la faccia. Quando ho deciso di entrare nel mondo del calcio l'ho fatto per l'amore che ho per questo sport. E da quel momento sono sempre andato a mille all’ora”.

Un'esperienza, la sua, lunga oltre una decade. Nonostante le difficoltà evidenti nel fare calcio nelle realtà di provincia del nostro Paese.
“Appena arrivato sono stato accettato a bocca storta. Dopo un paio di anni grazie anche alla vittoria di due campionati consecutivi è successo qualcosa di incredibile: ci fu un entusiasmo straordinario con partite da 20 mila spettatori. Ammetto che camminavo a dieci metri da terra. Poi come sempre succede, quando si vince si creano gelosie, quando si ottiene potere dai fastidio e questo pesa ancora di più in una città di provincia. Dove anche un posto auto riservato allo stadio diventa importante. Ogni piccola notizia va in prima pagina sui quotidiani locali e queste difficoltà sono cresciute sempre di più fino ad arrivare a una contestazione feroce che mi ha portato alla decisione di dire addio. Parlando, invece, del mio rapporto con le amministrazioni locali posso dire che, pur avendo cambiato tre sindaci, non ho motivo per parlar male di chi ha gestito o gestisce la città: hanno sempre voluto il bene del Perugia calcio. Quando hanno potuto ci hanno sempre aiutato e sono convinto che continueranno a farlo anche in futuro. È di 2-3 giorni fa la presentazione del progetto di restyling del 'Curi', interamente a carico loro per una cifra di circa 20 milioni di euro. Riconosco, però, anche che che negli ultimi anni con una contestazione così feroce la politica si sia un po' 'nascosta': io rappresentavo il diavolo per alcune persone e al suo fianco è sempre meglio non farsi vedere. In privato, in ogni caso, la la stima c’è sempre stata: sapevano che fossi una persona onesta”.

Allargando il raggio dell'analisi sulla Serie C, pochi giorni fa Matteo Marani è stato rieletto all'unanimità alla presidenza della Lega Pro. Cosa pensa debba fare nel corso del prossimo mandato per dare una mano concreta alla Serie C?
“Faccio una piccola premessa: non cadiamo nell’errore di ragionare sul sistema calcistico puntando tutto sulla differenza fra le varie categorie. In Serie C non si prendono contributi, è vero, ma lo è altrettanto il fatto che ci sono ingaggi molto più bassi rispetto alla B e alla A. Tradotto: più si sale di categoria e più salgono gli introiti ma le spese si quadruplicano. Nel mio percorso a Perugia sono andato diverse volte vicino alla Serie A, ma ho sempre creduto che l'idea di salire di categoria per sistemare i conti sia solo una chimera. Ho detto a Marani che l'unica soluzione per la sostenibilità della Serie C sia quella di abbassare il numero delle squadre e di inserire il salary cap altrimenti si andrà in default. Se il costo del personale è al 95% del fatturato di un club è impossibile portare avanti a lungo termine qualsiasi progetto societario. Anche per questo non ci sono più i magnati italiani, hanno paura ad avvicinarsi al calcio. In più vedono le contestazioni in ogni piazza e quanto vedono i conti in maniera scritta e si spaventano. Per questo sostengo che sia impossibile dividere la torta in 60 parti. Personalmente, poi, avevo proposto il 'salary club' che permetteva una spesa massima per tutto il club, ovvero: se vuoi spendere tutta la cifra a disposizione su un giocatore lo puoi fare, ma consapevole che poi altro budget a disposizione non lo puoi avere. Bisogna anche cercare di aumentare gli introiti: quando in Serie B ci fu l’impennata degli introiti da 2.5 milioni a 6 milioni i giocatori che guadagnavano 100 mila euro venivano in sede a chiederne 400mila. Spesso sento prendere come esempio il calcio inglese ha sì 5 miliardi di introiti, ma è anche il movimento calcistico che perde di più in termini di bilancio"

Riavvolgendo il nastro della sua avventura a Perugia, quali sono i 2-3 momenti più belli che ha vissuto e qual è il calciatore di cui è più orgoglioso?
“Sono tantissimi i momenti belli: arrivare a 2-3 è difficile. Tra le partite scelgo, su tutte, Perugia-Frosinone la prima promozione in B con 22 mila persone e poi Perugia-Monza contro il Monza di Berlusconi. Tutti mi dicevano che partivamo sconfitti perché pensavano mi avesse comprato, invece fu una partita strepitosa e riuscimmo ad andare ai playoff. Poi, però, sono stato contento per la promozione del Monza: avevo talmente tanta stima per quell’uomo che mi dispiaceva avergli negato la Serie A in quel momento. Sul fronte dei giocatori, invece, ne cito due a cui sono legato tecnicamente e umanamente. Il primo è Fabinho, un esterno sinistro da Coppa Campioni che per problemi caratteriali non ha fatto quello che doveva fare. L’altro è Matteo Politano: l’ho preso a 19 anni ed era un ragazzino ma si vedeva in allenamento che aveva un talento meraviglioso. Aggiungo anche Di Carmine che ha fatto il record di gol a Perugia".

Chiudiamo con il suo pensiero sul progetto delle seconde squadre.
“Ci sono due problematiche che mi fanno riflettere. La prima è che purtroppo le squadre di Serie A i giocatori in prestito non li danno più: credo e penso che il laboratorio della Serie C debba essere supportato anche con i prestiti dalle grandi società per tornare all’equilibrio economico. In più i ragazzi nelle Under 23 continuano a vivere in una situazione ovattata che non li fa crescere, perché la cattiveria che puoi acquisire a Perugia o ad Avellino, giusto per fare due esempi, non la acquisisci nelle seconde squadre. Poi però c’è un ragionamento economico: è meglio introdurre società ricche in questa categoria visto che pagano circa un milione di iscrizione e permettono anche ai loro dirigenti di visionare con più continuità la Serie C. Senza una seconda squadra la dirigenza di una squadra di A non vedrebbe mai una partite di terza serie. In questo modo se in un club c'è un talento che ti colpisce lo puoi acquistare e immettere soldi nel sistema. Alla fine per crescere c’è bisogno di stare con i grandi, allora ben vengano le seconde squadre”.