ESCLUSIVA TLP - Mi ritorni in mente: Ugo Napolitano

ESCLUSIVA TLP -  Mi ritorni in mente: Ugo NapolitanoTMW/TuttoC.com
© foto di Francesco De Cicco
domenica 6 dicembre 2015, 22:30Interviste TC
di Daniele Mosconi
98° appuntamento

Nella vita di un calciatore uno dei momenti più intensi è il post partita. La carica di adrenalina è ancora forte: il lavoro di una settimana ha portato ad un risultato. Sotto la doccia si mastica amaro per un risultato negativo, per un pareggio arrivato quando ormai la testa era già volata al giorno di riposo.

Come capita spesso c'è anche l'altra faccia della medaglia: quelle docce liberatorie dove l'acqua sembra accompagnare lo stato d'animo, come se conoscesse cosa è successo al di fuori di quello spogliatoio.

Quell'acqua che scivola via, non toglie solo la tensione ma è un piccolo crocevia di pensieri che il vapore rende meno difficili da districare. Con l'accappatoio addosso, lo sguardo penetra nel clima dello spogliatoio e si capisce cosa accadrà alla ripresa degli allenamenti. Se poi sei uno che di quello spogliatoio è il più esperto, sai come dosare le parole nel brusio delle docce degli altri o imporre con pensieri condotti alla correzione, un gruppo che ha bisogno di una guida sicura.

Quante docce ha vissuto Ugo Napolitano dentro stati d'animo sempre diversi. Difensore scuola Napoli è nell'avventura a Cosenza che è diventato uno dei leader di una delle rose che non passano via dalla testa dei tifosi neanche con gli anni. E' sempre lì, incontrastato con quelle sue gambe leggermente piegate che guida la difesa rossoblù nel catino del "San Vito".

Solo il destino, incapace di essere guidato nonostante tutto l'impegno, ha negato a quel Cosenza il sogno di una serie A che mai come quella stagione 1991/92 è stata ad un passo da essere vera.

E' un grosso rammarico quello di Napolitano: "Il "San Vito" ancora adesso che ci gioco per qualche partita di beneficenza è capace di farmi tremare le gambe. Non avviene in nessuno Stadio, a Cosenza invece è una sensazione particolare".

La bandiera rossoblù sarà l'ospite numero 98 di "Mi ritorni in mente", in questa intervista esclusiva concessa a TuttoLegaPro.com per ricordare la sua esperienza con il Cosenza.

Uno spazio - quello di "Mi ritorni in mente", dove il passato ritorna presente, rinverdendo un ricordo che non saprà mai di vecchio: quando i sorrisi di imprese vissute in presa diretta valgono più di tanti successi attuali. Che diverranno ricordi mai vecchi in un prossimo futuro.

Benvenuto Ugo all'appuntamento numero 98 di "Mi ritorni in mente".

"Ringrazio voi per l'accoglienza. E' sempre bello sapere che c'è qualcuno che si ricorda delle nostre gesta".

E' un tema, questo del ricordo e della riconoscenza, che sarà uno dei cardini di questa intervista.

Attualmente lavori in una scuola calcio in provincia di Napoli insieme a Ciro Muro (ex giocatore del Napoli negli anni '80, ndr). Lavorare con i bambini è bello. Se non ci fossero i genitori.

"Hai perfettamente ragione. E' un problema che c'è in tutte le scuole calcio, non solo in questa. I genitori intervengono, vogliono educare al di fuori dell'alveo familiare, senza rendersi conto di essere un ostacolo alla crescita dei loro figli. Dovrebbero avere l'umiltà di dire: per fortuna mio figlio è parte di un progetto gestito da professionisti".

L'aspetto educativo del calcio da dove inizia?

"Dalle piccole cose: ad esempio il comportamento, il rispetto dei compagni. Come ci si comporta nello spogliatoio, come bisogna vestirsi. Si parte da lì. Non è facile perché nelle scuole calcio il genitore paga e pretende di parlare, di imporre la sua visione che è solo egoistica. Questo non avviene in club professionistici, dove fin dal settore giovanile si cerca di evitare queste ingerenze".

Quale ricordo hai del settore giovanile che hai vissuto da protagonista?

"Erano sicuramente altri tempi. Mi ritengo fortunato di aver iniziato a fare il calciatore sul serio nel settore giovanile del Napoli. L'insegnamento che mi hanno impartito fin dall'inizio è stata la disciplina e sotto questo aspetto devo ringraziare gente come Abbondanza, Sormani, Mario Corso. A quel tempo il Napoli aveva una cura diversa del settore giovanile".

A differenza di oggi.

"Ci sono molti stranieri e questi chiudono gli spazi ai giovani emergenti".

Abbiamo anche una parte di responsabilità nel non riuscire a far emergere il talento italiano?

"Ci sono troppi stranieri. Ho vissuto per tanti anni in Calabria e questa regione tira fuori tanti ragazzi, perché lì c'è una fame che forse manca in altri della loro età".

Sarà anche questo uno degli aspetti.

"E' probabile che sia così. Fare il calciatore è come fare il militare: non serve solo giocare e pensare che tutto finisca lì. Devi andare a dormire presto, devi mangiare in maniera regolare, devi essere preciso. Quando arriverai ad un certo livello e ti sarai fatto un nome, in quel momento potrai gestirti anche i tuoi piaceri senza intaccare la tua professionalità. Uno degli ultimi esempi è Donnarumma del Milan: se sei bravo, giochi".

Voltiamo pagina. Arrivi a Cosenza nel 1988, allenatore Bruno Giorgi. Ci puoi fare un ritratto dell'ex allenatore scomparso qualche anno fa?

"Parlava molto poco. Se vincevi, non dimostrava la sua soddisfazione. Dava e chiedeva rispetto. Ricordo un episodio che penso descriva appieno la persona che era Bruno Giorgi. Dovevamo partire in pullman per una trasferta e si era attardato a rilasciare delle interviste. Salito sul mezzo, ci ha guardato e ci ha detto: vi chiedo scusa per l'inconveniente, non accadrà più. Questo episodio è il simbolo di come riusciva a rapportarsi con noi giocatori".

Con il Cosenza avete perso la serie A.

"E' un rammarico enorme. Mi posso ritenere soddisfatto di ciò che ho fatto nella mia carriera, però".

Però...

"C'è quel rammarico di non aver vinto un campionato a Cosenza".

Ultimamente sei stato protagonista del centenario del Cosenza.

"Sono stato uno degli artefici delle stagioni più belle del Cosenza. E' un aspetto stimolante che non credevo tornasse più".

Tra le tante immagini che potevamo prendere ad esempio per ritagliare gli spazi della tua carriera a Cosenza, c'è quella dello spareggio del 26 giugno 1991 contro la Salernitana. Stadio "Adriatico": dentro o fuori. Paradiso della B o inferno della C (ancora si chiamava così, ndr). Non c'era spettacolo da cogliere, solo un obiettivo: ritrovarsi alla fine a tirare un sospiro di sollievo per lo scampato pericolo.

"Ricordo che faceva un caldo pazzesco. Era la classica partita dove il pragmatismo prendeva il sopravvento su tutte le alchimie che si possono fare sul calcio. In quel momento abbiamo trovato una persona che ci aiutato molto: mister Reja. Nella gestione del gruppo uno come Reja non l'ho più trovato. E' una persona eccezionale. Arrivare a fare uno spareggio contro la Salernitana, dove il domani non c'è, un po' ti mette in crisi. E così anche il sonno non veniva facilmente. Quel sabato facemmo le tre di notte, più per la tensione che non ci faceva dormire che per altro. C'è un aneddoto simpatico: per gioco ci buttavamo i cuscini in faccia. Avevamo fatto un po' troppo rumore e sentiamo che arriva il mister. Ovviamente tutti a scappare per non beccarsi la lavata di testa. Invece Reja entra: sono venuto solo per chiedere una sigaretta. Non fate tardi. Questo è stato uno stimolo enorme per noi".

Uomini diversi.

"Oggi non c'è amicizia: si sistemano i capelli, si guarda il telefonino. Davanti ad un panorama simile cosa vuoi creare".

Non c'è spirito di sacrificio.

"Prendo ad esempio la mia scuola calcio: sento dei genitori che a fine allenamento o a fine partita, insultare il figlio perché non ha fatto quello che speravano. Così il bambino cresce con quell'obbligo di essere il migliore. Lo inibisci e lo rendi vittima di se stesso. Invece andrebbe stimolata la sua curiosità nel fare di più. Arrivato a diciassette, diciotto anni, entra in uno spogliatoio di gente abituata a combattere sul campo e si sente un pesce fuor d'acqua".

Ancora Cosenza. Altri ricordi...

"Ho ancora oggi negli occhi certe emozioni e non ti nego che mi viene la pelle d'oca a parlarne. Ho perso tre campionati a Cosenza. In Calabria, in una regione difficile, in una città come Cosenza, in serie B, tutto quello che ottenevi era amplificato dalla passione della gente. Sono stati anni bellissimi, duri, ma con la gratificazione dell'affetto della gente. Pensa che ancora oggi, quando mi chiamano a fare un'amichevole, quando entro allo Stadio "San Vito", mi tremano le gambe. E' l'unico Stadio che mi provoca una sensazione simile".

E' il bello del calcio

"La gente un tempo era educata a certi aspetti dello sport: si accettava lo sbaglio, però...".

Però...

"Però vedevano l'impegno. C'era un affetto importante che ti faceva andare oltre i tuoi limiti di calciatore".

La forza di quel Cosenza, come di molti club di quegli anni, era la formazione di uno zoccolo duro. Questo aiutava anche il tifoso ad immedesimarsi in voi.

"Eravamo un gruppo forte: Galeazzi, lo stesso Gigi (Marulla, ndr), Simoni, Marino, De Rosa. Non vivevamo il calcio come una professione, ma c'era l'amore per la maglia. Questo ti porta a vivere quello che fai con un impegno diverso. C'era l'orgoglio dell'appartenenza".

Ti manca più lo spogliatoio o i novanta minuti?

"Devo ammettere che alle volte mi capita di soffrire dentro nel ricordo dell'esperienza di calciatore. E mi sento quel desiderio di rivivere i ritiri pre partita. Era un clima fatto di quella tensione che non riuscivi a scaricare in nessuna maniera: avresti anche giocato alle due di notte piuttosto che attendere il giorno dopo. Cosa pagherei per tornare indietro".

Non si smette mai di essere calciatori.

"Un tempo c'era anche il rispetto di un ruolo che veniva vissuto con naturalezza. Oggi anche se uno gioca in serie D, si crede chissà chi. Manca quell'umiltà che serve per fare il calciatore".

Guardando il calciatore che sei stato, quale ricordo hai?

"Se avessi sfruttato l'ultimo anno nel settore giovanile del Napoli, forse avrei fatto una carriera diversa. Eravamo io e Ciro Ferrara in quel ruolo. Sono stato io che non l'ho presa come dovevo. Con gente come Maradona, Renica, Garella, avevi la possibilità di imparare, invece sono andato molle nell'affrontare questa chance".

Il leit motiv di molti ospiti di "Mi ritorni in mente": "Se avessi potuto. Se avessi voluto".

"Oggi è più facile arrivare in alto. Allora dovevi sudare sette camicie per arrivare in alto e dovevi avere la fortuna di fare la partita giusta il giorno che c'era sugli spalti un osservatore di un club maggiore. Per avere un anno di contratto dovevi fare trenta partite ad un certo livello ed andavi dal presidente con un biglietto da visita importante. Oggi no".

Ci hai parlato della riconoscenza. Uno degli altri motivi che vengono fuori in queste interviste. La vivi come una deriva: dove ci può portare tutto questo?

"La vita di oggi è un continuo guardare se stessi, senza ampliare il proprio sguardo all'altro. Ho avuto la fortuna di avere un amico come Ciro Muro. Abbiamo giocato insieme tanti anni e mi diede la parola che se avesse fatto qualcosa, avrebbe pensato a me. Oggi la parola data conta poco e questo è un decadimento segno dei tempi che stiamo vivendo". 

Torniamo al calcio giocato. A detta di molti il nostro calcio è il più difficile, però come qualità non siamo così appetibili. Dove stiamo sbagliando?

"Si lavora prevalentemente sull'ottenimento del successo. Come le scuole calcio: non si cura un ragazzo, insegnandogli i valori dello sport che sono anche quelli della vita. Quello che interessa è la vittoria. Si torna al discorso di prima: con una mentalità simile, un ragazzo che entra in uno spogliatoio, vivrà male quell'esperienza e sul campo non darà quello che può. Bisogna imparare da piccoli, altrimenti non si può fare molto".