ESCLUSIVA TLP - Mi ritorni in mente: Pierluigi Casiraghi

ESCLUSIVA TLP -  Mi ritorni in mente: Pierluigi CasiraghiTMW/TuttoC.com
Pierluigi Casiraghi
© foto di Jacopo Duranti/TuttoLegaPro.com
domenica 11 novembre 2012, 22:15Interviste TC
di Daniele MOSCONI
18^ puntata

Il Quartetto Cetra aveva coniato una bella canzoncina che faceva così: "Che centrattacco! Tu sei un cerbiatto. Sei meglio di Levratto ogni tiro va nel sacco". Il protagonista di questo diciottesimo appuntamento con lo spazio redazionale firmato TuttoLegaPro.com ha tutte le sembianze del classico centrattacco degli anni andati, ora modernizzato in prima punta. Pierluigi Casiraghi, era proprio così: un panzer dalle movenze magari non graziose, ma che se per sfortuna ti distraevi un momento, di testa era letale come il morso di un serpente, anche se non disdegnava i gol di piede (clamorosa una sua rovesciata in un derby contro la Roma vinto dalla Lazio per 2-0).

Nella sua carriera professionistica nasce calcisticamente nel Monza dove vi arriva a 10 anni. Fatta la trafila nelle giovanili, nel 1985 a 16 anni il suo esordio nei Professionisti con la maglia biancorossa dove nel 1989 vince il campionato di C1 e la Coppa Italia di C. La stagione successiva, a 20 anni il salto nell'olimpo del calcio italiano: la Juventus. Era il 1989 e in quattro stagioni in bianconero vince una Coppa Italia (1989\90) e due Coppe Uefa (1989\90, 1992\93). Nel 1993 il passaggio alla Lazio. In quegli anni il club capitolino stava gettando le basi per vincere lo scudetto qualche anno dopo. In maglia biancoceleste vince una Coppa Italia nel 1997\98. Dal 1998 al 2000 sfortunata esperienza al Chelsea in Inghilterra, dove gioca pochissimo per via di un infortunio, occorso proprio dopo poche settimane dal suo arrivo.

Ha ancora quel suo modo di esprimersi in maniera semplice, un tratto che l'ha sempre contraddistinto. Nonostante siano passati degli anni, i lineamenti del ragazzino sedicenne che vestiva la maglia del Monza, sono rimasti intatti. Basta prendere una sua foto di quando era giovane e confrontarla con una attuale: sono veramente poche le differenze.

In questa intervista esclusiva concessa a TuttoLegaPro.com ha il pregio di non nascondere nulla di sé, così si spazia dalle sue prime esperienze con la maglia del Monza, al suo approdo alla Juventus e il passaggio alla Lazio, senza dimenticare gli incontri con l'Avvocato Gianni Agnelli, che, ancora oggi, a distanza di tanti anni, ricorda con molta ammirazione: "Era una persona estremamente signorile. Era un fine conoscitore di calcio, spesso notava dei particolari che noi neanche avevamo preso in considerazione insieme all'allenatore. Aveva un'aurea di mito ed è stato uno dei pochi che mi ha messo in soggezione. Quando c'era lui, l'ambiente circostante era pieno. Sapeva tenere la scena da gran signore. E' stato un vero onore per me averlo conosciuto". 

Ciao Pierluigi, attualmente di cosa ti occupi?

"Calcisticamente sto aspettando una chiamata interessante, mentre ora sono impegnato in altri progetti extra calcio".

Con te faremo un lungo viaggio, ma per farlo c'è bisogno di una partenza. I tuoi primi anni di calcio. Chissà quanti ricordi...

"Beh, devo dire che ho iniziato molto presto, avevo dieci anni, qui a Monza. Per fortuna non ho mai abbandonato gli studi e questo mi è servito molto. Non ho mai messo il calcio e lo studio su due piani diversi. Anzi, ho sempre cercato di coniugare le due cose perchè fossero una uguale all'altra".

Così a 16 anni esordisci con la maglia della squadra della tua città.

"Esatto. Ricordo che arrivai in prima squadra che ero un ragazzino. Il mio esordio fu contro l'Arezzo. Fu una bella soddisfazione".

Com'era a quei tempi l'atmosfera negli spogliatoi?

"Ma sai, ero alle mie prime esperienze così sapevo già che dovevo avere l'umiltà di dovervi entrare in punta di piedi".

Diverso dal calcio di oggi, dove i giovani sembrano essere i padroni di tutto, poi magari qualche vecchio dello spogliatoio gli fa capire come ci si comporta.

"Sono d'accordo a metà, perchè credo che bisogna sempre distinguere tra il calcio di allora e quello di oggi. Sono stagioni diverse, con cambiamenti che portano le nuove generazioni a rapportarsi con gli ambienti circostanti in maniera diversa. Ricordo che quando giocavo io, lo spogliatoio era davvero sacro, da lì non doveva uscire nulla. La forza di una squadra dipendeva anche dall'unità che c'era in quel luogo".

Quale ricordo hai di quegli anni a Monza?

"Molto belli, gli anni passano ma le emozioni rimangono. Con quella casacca vi ho esordito, ho vinto un campionato e nello stesso anno una Coppa Italia di serie C (1987\88). Sono ricordi stupendi che tengo ancora dentro di me. Quattro anni di Monza sono qualcosa che ti rimane dentro".

Chi fu il tuo riferimento nel Monza di quegli anni?

"Sicuramente Fulvio Saini. E' una colonna portante della società. Ha fatto la storia del club. Aveva sempre il consiglio giusto per i più giovani. Con uno come lui crescevi forte e sicuro, perchè non si ergeva mai a maestro, ma da uomo spogliatoio".

A 20 anni il grande salto: la Juventus.

"Ebbene sì! C'erano due ragazzi che avevano il maggior talento in quegli anni: io e Marco Simone. Poi alla fine io e lui ci siamo divisi, visto che io andai alla Juventus mentre Marco andò al Milan".

Quando hai scoperto di essere seguito dalla Juventus?

"L'ultima stagione a Monza (1989), ormai si era capito che poteva esserci questa occasione e posso dire di aver giocato nella Juventus. Una cosa enorme, perchè se ci pensi: dal Monza, club rispettabile e importante, si passa al top. Se non hai una struttura interiore forte, rischi di farti molto male".

Al tuo arrivo alla Juventus, cosa ti colpì maggiormente?

"Era tutto un altro ambiente, dovevi stare attento a tutto, perchè eri sotto l'occhio dei riflettori sempre. Stare alla Juventus comportava dei sacrifici: eri calciatore e professionista a 360°".

In cosa consisteva lo stile Juventus?

"C'erano delle basi comportamentali che venivano richieste dalla proprietà e dalla dirigenza. Non le vorrei chiamare regole, ma era una scuola di educazione e rispetto che ti faceva divenire ancor più forte di quello che già eri. C'era il presidente Boniperti che dava lustro allo "Stile Juventus", con il suo comportamento da gran signore".

E c'era lui: l'avvocato. Ti ricordi il primo incontro?

"Certamente, mi tremavano le gambe accidenti! Guarda, ti posso dire che lui è stata una delle poche persone che ha saputo mettermi in soggezione. Arrivava con quell'aurea di mito, con quella classe innata, tu eri lì che rimanevi basito: un uomo che riempiva a tutto tondo ovunque fosse".

Di cosa parlavate quando era con voi?

"Soprattutto di calcio, era uno che se ne intendeva. Alle volte rimanevi piacevolmente sorpreso nel vedere che cultura calcistica avesse".

Ascolta, questa è una domanda che prima o poi dovevamo farla ad un ex della Juventus: ma l'avvocato ti ha mai chiamato alle sei e mezzo del lunedì mattina come faceva con Platini?

Si sente la sua risata paciosa mentre ascolta la domanda e risponde imbarazzato: "No dai, non mi è mai capitato. Di solito l'avvocato chiamava l'allenatore e i giocatori più importanti, non di certo me".

Dopo quattro anni in maglia bianconera, nel 1993 l'approdo alla Lazio. Un ricordo di quella esperienza?

"Eh sì! Città stupenda, a Roma si vive molto bene. Con la Lazio furono cinque anni importanti, dove abbiamo fatto davvero bene. Ero circondato da campioni, quindi potevo solo imparare".

Tra questi, c'era Roberto Mancini.

"Quando abbiamo giocato insieme lui era alla fine della sua carriera, ma aveva il carisma del leader, era un vincente e lo trasmetteva a tutti".

Raccontaci un po' il clima derby che si viveva a Roma.

Un sospiro prima di rispondere: "Non era un incontro qualsiasi, era "La Partita". I tifosi ti facevano vivere l'atmosfera e anche se volevi distaccarti, era veramente difficile. Accadevano cose del genere, tipo cinquemila persone che accorrevano a Formello a vedere l'allenamento. Ti davano una carica enorme, ti facevano volare".

Si sente il brivido nella sua voce, quei momenti nel corso della nostra chiacchierata sono rimasti indelebili dentro di lui.

"Con la maglia biancoceleste mi sono espresso al meglio. L'ambiente era particolarmente esaltante, così ho vissuto un'esperienza unica".

Alla fine arriva anche l'estero: il Chelsea nel 1998.

"Eh ma lì fui davvero sfortunato, perchè mi feci male dopo dieci partite, tanto da star fermo parecchio tempo. Era una bella occasione, c'è il rammarico per non aver potuto dare di più".

Quali sono le differenze maggiori che hai trovato tra il calcio italiano e quello inglese.

"Hanno una cultura dello sport completamente diversa. Lì il calcio è vissuto ancora come un divertimento, mentre qui si estremizza tutto. C'era un problema tifosi, lo hanno risolto, magari in maniera drastica ma l'hanno fatto. Gli stadi sembrano teatri: puliti, vedi benissimo la partita, trovi parcheggio. Tutte cose che qui in Italia sono anni che predicano di risolverle, ma c'è sempre qualche ostacolo. Qui il calcio non è a misura d'uomo".

Dopo aver appeso gli scarpini al chiodo, c'è questa esperienza con l'Under 21.

"Molto importante, davvero tanto. Ho fatto quattro anni, lavorando a stretto contatto con i giovani. E' molto bello poter allenare dei ragazzi alle prime esperienze, perchè ti rendi conto delle differenze che ci sono, ma poi le noti da un anno a un altro e ti accorgi di quanto migliorano. Sotto un certo aspetto devi formarli, renderli uomini, quindi diventa ancora più stimolante. C'è un'aspetto che non va sottovalutato: quando arrivi in Under 21, sei già potenzialmente pronto per la A o la B. Spesso magari capita che non rispettano le aspettative, ma ci sta".

Torniamo indietro: ricordi il tuo primo gol nel Monza?

"Eccome se non lo ricordo: Pescara-Monza. Ricordo che entrai nel secondo tempo, ero un ragazzino, perdevamo 3-0. Riesco a fare questo gol ed esulto come se fossimo passati in vantaggio. Non pensavo che quella rete fosse inutile, ero felice".

Segui ancora il club brianzolo?

"Sì sì, come no! E' la squadra che mi ha fatto crescere e mi ha fatto conoscere al grande calcio. Adesso stanno vivendo una situazione un po' confusa e spero che si risolva presto, perchè questa città ha fame di calcio e nell'anno del centenario sarebbe un peccato rovinare tutto. Alla fine penso che fare calcio a Monza sia molto più semplice, perchè non si vive con lo stress di tutti i giorni che si sente in altre città, tipo Roma ad esempio, dove tra radio e tv, non si parla altro che di Roma e Lazio".

Chi era il tuo idolo da ragazzino?

"Da piccolo ero tifoso del Milan, ma erano tempi di vacche magre (ride, ndr), così dovevi prendere quello che c'era. C'era Mark Hateley che mi piaceva molto".

Tre aggettivi per definirti come calciatore?

"Coraggioso, potente, calcisticamente intelligente".

Quale di questi tre rappresenta ancora l'uomo?

"Sicuramente l'essere coraggioso".

Il tuo sogno fin da bambino quale era?

"E' sempre stato questo: fare il calciatore ma senza mai dimenticare lo studio. Sono stato fortunato e bravo a portarli avanti sempre di pari passo".

Ultima domanda: quale la soddisfazione maggiore nella tua carriera da giocatore?

"Bella domanda! Il fatto che i tifosi della Juve e della Lazio mi fermano e mi ringraziano per quello che ho fatto: questo mi riempie di orgoglio, perchè vuol dire che ho lasciato un segno indelebile nelle loro squadre. Infine sono fortunato perchè ho giocato con campioni del calibro di Zola (al Chelsea), Mancini (alla Lazio) e Roby Baggio (alla Juventus)".

Il prossimo appuntamento con "Mi ritorni in mente" è per domenica 25 novembre.