ESCLUSIVA TLP - Mi ritorni in mente: Juary

ESCLUSIVA TLP -  Mi ritorni in mente: JuaryTMW/TuttoC.com
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domenica 5 agosto 2012, 23:30Interviste TC
di Daniele Mosconi

Cercando su Wikipedia alla parola "Mito", la prima risposta è racconto. Quando si parla di Jorge dos Santos Filho, in arte "Juary", ad Avellino sanno alla perfezione il significato di quella parola, così importante nella pronuncia e in chi ha l'onere di ricevere questa "corona". Per loro, il brasiliano nato a São João de Meriti, nello Stato di Rio, è un racconto vivente - appunto mito - che gli parla della serie A, del "Partenio" sempre pieno, delle vittorie contro le grandi del nord, dei derby contro il Napoli.

Sono stati dieci anni in cui l'Avellino ha fatto sognare una città intera e tutta l'Irpinia. Juary è arrivato nel 1980, a pochi mesi dalla tragedia che colpì la città nel profondo del cuore, seminando morte e dolore. Nelle sue parole c'è anche questo ricordo, nitido e freddo a poche settimane dal disastro dell'Emilia. C'è di tutto in questa intervista, il sorriso e la gioia per i bei momenti vissuti in maglia biancoverde, la tristezza per l'addio due stagioni dopo, nell'ultima gara contro il Milan, quando ormai aveva capito che la sua avventura con l'Avellino era finita.

Come avrete capito, è lui il protagonista di questo nuovo appuntamento con "Mi ritorni in mente", lo spazio che TuttoLegaPro.com dedica ai personaggi del passato che hanno fatto la storia di club che attualmente militano in Lega Pro. In questa intervista esclusiva, ci parlerà del suo rapporto molto personale con la terra irpina.

Attualmente alleni il Sestri Levante, squadra neopromossa in Serie D. Obiettivi per questa stagione?

"Sicuramente un campionato dignitoso, senza aver paura di sognare. Come si dice: i sogni non costano niente".

Com'è stato l'impatto con l'Italia e con Avellino in particolare?

"Era la prima volta che venivo in Italia, dopo che dal Brasile mi ero trasferito in Messico (proveniva dall'Universidad Autónoma de Guadalajara). Il primo impatto fu sorprendente perchè le persone mi sorridevano e la cosa mi faceva sentire meno la mancanza del mio paese. Mi sentivo coccolato, quasi fossi un re, troppo bello a ripensarci a distanza di tanti anni".

Sorride Juary, quel sorriso contagioso dei brasiliani che ti trasmette allegria.

Tu arrivasti nell'anno del terremoto in Irpinia (avvenuto il 23 novembre 1980).

"Ricordo brutto, che ritorna in tutto il suo dolore quando rivedo le immagini dall'Emilia Romagna. E' stata una cosa drammatica, vissuta sulla mia pelle, non si può riuscire a spiegare, so che ho avuto davvero tanta paura. La cosa più sconvolgente e allo stesso tempo bella, fu la dignità con cui il popolo irpino si è rialzato dopo quello che era accaduto".

Torniamo a parlare della tua esperienza in maglia biancoverde. Come nasce, ad esempio, la tua esultanza così particolare di girare intorno alla bandierina?

Prima di rispondere ride compiaciuto: "Prima di andare in Messicu (usa spesso la u finale per alcune parole, ndr), giocavo in Brasile con il Santos. Quella volta contro il San Paolo feci tripletta. Ero talmente contento che mi inventai questa esultanza di quattro giri intorno alla bandierina".

Ma non erano tre?

"No, mai stati tre, sempre quattro. Il pubblico andava in estasi, mentre io ero contentissimo quando segnavo, perchè fare gol è dare gioia. E noi brasiliani ci nutriamo di gioia, anche effimera, ma che da calore e positività".

Il tuo primo giro intorno alla bandierina con la maglia dell'Avellino, contro chi fu? Te lo ricordi?

"Accidenti se non me lo ricordo, me lo ricordo benissimo! Eravamo al "Parteniu" contro Catania. Vincemmo 4-1, io feci gol e inaugurai anche in Italia questa usanza".

Ci parli un po dei ritiri di quegli anni? Com'erano?

"I ritiri erano tutti uguali, era difficile sgarrare. Erano altri tempi e non c'era molto spazio per il divertimento".

Non ci credo, dai ...

"Si, al massimo qualche volta, quando veniva il presidente Sibilia, si poteva giocare a carte e si faceva più tardi. Era un patito delle carte ed era bello poter star svegli qualche mezz'ora in più. Aiutava a stemperare la tensione dei prepartita".

Gli scarpini li hai ancora appesi al chiodo?

"No, li ho buttati. Dal momento in cui ho deciso che dovevo finire con il calcio, non volevo più nulla che mi parlasse del passato".

La cosa che ti piaceva maggiormente del calcio, quando giocavi?

"Sono brasiliano, ho il sangue che bolle dentro sempre per il divertimento e per me il pallone tra i piedi era gioia. Per me che ero un'attaccante, la gioia del gol era indescrivibile. Troppo bello. Sentivi l'entusiasmo del pubblico che ti trascinava, ti sentivi a due metri da terra".

Da giocatore eri fenomenale, ora hai scelto la carriera di allenatore. Com'è il tuo rapporto con i giocatori?

"Aver giocato a calcio è un vantaggio, non solo perchè conosci l'aspetto tecnico di questo sport e le situazioni tattiche del gioco durante la gara, ma perchè conosco la pische dei giocatori. Sono stato come loro, ho vissuto il campo e so che si prova. Ed in questo modo cerco di avere un dialogo con i miei ragazzi".

Una sorta di amicizia?

"Eh no! Sicuramente a tutto c'è un limite. Le regole valgono per tutti i miei giocatori".

Il gol più bello e quello più importante nella tua carriera?

"Quello più importante al Bayern Monaco con la maglia del Porto (finale Coppa Campioni 1987, Juary entrò nella ripresa al posto di Quim ad inizio secondo tempo, segnando il gol della vittoria, due minuti dopo il pareggio di Madjer, con un gol di tacco, da quel momento soprannominato "Il tacco di Allah", ndr). Fu una gioia pazzesca (la voce si fa pastosa e contenta). Quando vidi quel pallone entrare in rete non so nemmeno io cosa ho fatto, mi ricordo che urlavo urlavo".

Ed il più bello, possibilmente con la maglia dell'Avellino?

"In una partita contro il Catania. Fu un gol meraviglioso".

Ce lo racconti?

"Fu una giocata sulla sinistra, dribblai prima un giocatore, poi un altro e un terzo. Arrivato davanti al portiere, lo scarto. Fu l'apoteosi, ebbi paura che cadeva u Parteniu, perchè fu un boato enorme. Avellino mi faceva impazzire come poche città al mondo, perchè mi dava una carica pazzesca".

Pochi giorni fa, il 31 luglio, avete affrontato l'Avellino in amichevole. Cos'hai provato a rivedere quelle maglie?

"Emozione indescrivibile, erano anni che non le vedevo. La maglia dell'Avellino per me è una cosa intima che solo chi mi ha voluto bene, capisce. Potrei andare ovunque, ma Avellino rimarrà un ricordo forte dentro di me, difficile da dimenticare. C'era molta gente, ho fatto il giro sul campo, c'erano bambini che avranno avuto 12-13 anni, che non mi hanno mai visto giocare, con lo striscione: bentornato Juary. Una cosa bellissima".

Speri di tornare un giorno ad Avellino per allenare i lupi?

"Certamente, ma ora hanno un allenatore molto bravo come Rastelli. Li posiziona bene sul campo, mi ha impressionato molto la sua sagacia nel far muovere gli uomini sul campo. Poi hanno uno squadrone. Vedremo, magari in futuro. Tutto è nelle mani di Dio".


Prossimo appuntamento con "Mi ritorni in mente", domenica 19 agosto. Buon Ferragosto a tutti!