ESCLUSIVA TLP - Avvocato Canovi: "Riforma dei campionati complessiva. Favorevole alle squadre B in Lega Pro"

ESCLUSIVA TLP - Avvocato Canovi: "Riforma dei campionati complessiva. Favorevole alle squadre  B in Lega Pro"TMW/TuttoC.com
Dario Canovi
© foto di DANIELE MASCOLO/PHOTOVIEWS
martedì 27 maggio 2014, 11:00Interviste TC
di Daniele MOSCONI
Si è spaziato su molti temi con l'avvocato ormai divenuto romano di adozione, intervistato in esclusiva da TuttoLegaPro.com

Era il 1974 quando l'avvocato Dario Canovi, di concerto con la appena nata Assocalciatori, difendeva i diritti del giocatore dell'Avellino Juan Carlos Morrone che aveva aperto una vertenza nei confronti del club irpino. Causa vinta dall'assistito dell'avvocato di Roma, con relativo indennizzo nei confronti del giocatore stesso. In quegli anni i contratti si facevano anno per anno e con la modernizzazione, seppure a piccoli passi, del ruolo del calciatore stesso, una figura che rappresentasse la controparte, il lavoratore in questo caso, si rendeva necessaria per forza di cose, tanto da far nascere quello che tutti oggi conoscono come il procuratore.

Una figura importante in una trattativa, che fa da tramite tra gli interessi delle due parti in causa: società e calciatore. Con il terzo (o terzi) incomodo, ovvero il club interessato alle prestazioni di un determinato giocatore. E non sempre le trattative sono rose e fiori. In quarant'anni, Canovi ne ha viste di tutti i colori e, in questa intervista esclusiva concessa a TuttoLegaPro.com, ha messo sul tavolo la sua esperienza per rispondere al fuoco di fila delle nostre domande. Non ci siamo fatti scappare l'occasione di farci raccontare il ricordo di presidenti che per lui sono stati qualcosa di diverso da controparti con cui battagliare.

Nato a Trieste e trapiantato da decenni a Roma, ormai si è romanizzato, non negando un debole per i colori giallorossi.
Tra le altre cose ha anche un debole per Zdenek Zeman, maestro di calcio, e non gli scende giù la regola del "fair play" finanziario. Da anni ha mollato il ruolo di agente Fifa e cura gli interessi dei suoi assistiti tutelato da un albo professionale che è, appunto, quello degli avvocati. Troppi sono infatti i personaggi improvvisati che rovinano la figura del procuratore stesso.

Tanta carne al fuoco e Canovi non si è tirato indietro, menando dei fendenti ben precisi contro certi bizantinismi del nostro sistema calcio italiano. A suo modo di vedere, troppo "all'italiana". Con tutte le interpretazioni del caso su questa riflessione.

Avvocato c'è molto da parlare, si metta comodo.

"Sono qui, mi dica".

Partiamo dal nostro sistema calcio: è un malato cronico e lo sappiamo tutti. Quali le sue ricette per ridare speranza?

"Non c'è una sola soluzione, ce ne sono diverse. Una è quella che include la riforma dei campionati. Questo potrebbe fare in modo di premiare quelle squadre che utilizzano il vivaio. In questo momento nonostante ci sia in Lega Pro l'incentivo a chi utilizza i giovani, non è sufficiente. Secondo me la Lega Pro stessa ha fatto un errore a non accettare le seconde squadre dei club di A. In Inghilterra c'è un campionato riserve molto importante e seguito. In Russia e in Germania idem. Il campionato Primavera ormai è diventato obsoleto: inutile far giocare i diciannovenni o i ventenni, perché non imparano nulla e non migliorano sicuramente. Infine non fanno l'esperienza che serve per giocare nel calcio dei grandi. In Spagna a vent'anni giocano titolari nei club. Io non penso che sia tanto opportuno il ridurre le squadre della serie C. Anche se mi rendo conto che hanno una certa difficoltà economica a sostenere i costi che ci sono. Se noi consentissimo alle squadre B di giocare nei campionati professionistici minori, faremmo già un bel passo avanti".

Il pensiero di Macalli al riguardo è chiaro: "Non possiamo fare il torneo dei bar". Ipotizzando campionati falsati da club - quelle B delle società di A - che non retrocedono.

"E' chiaro che, se abbiamo queste remore e questi dubbi, non andiamo molto avanti. Io dico che se un giovane deve giocarsi il futuro dimostrando certe cose sul campo, non accetta di regalare la partita a qualcuno. Questo può essere un incentivo per i giovani. In Spagna vincono tantissimo e avrebbero potuto avere addirittura quattro squadre in finale se Siviglia e Valencia non si fossero affrontate in semifinale di Europa League. Lì i giovani giocano. Iniziano a far parte dei gruppi della prima squadra fin dai 16-17 anni. Cominciano a giocare un calcio vero, non uno giovanile, con società che si vantano di aver vinto la Coppa Italia Primavera con gente di venti o più anni. E' una stupidaggine, non serve a nulla. Una Primavera con giocatori di diciotto, diciannove anni non serve a nulla".

C'è altro?

"C'è il problema degli stadi. Noi abbiamo degli stadi ridicoli che hanno allontanato le famiglie. Uno dice: cosa c'entrano gli stadi con la riforma? C'entra con la crisi dell'economia del calcio italiano, perché avere uno stadio proprio significa avere degli introiti molto maggiori, avere delle possibilità di merchandising e del marketing che altrimenti non si hanno. Pensi che quarant'anni fa io dissi alla Federazione come funzionavano gli stadi in America. A quei tempi andai a trovare il presidente del Toronto e a un chilometro dallo stadio c'era un recinto. Se tu volevi entrare, sotto lo stadio c'era tutto quello che commercialmente può rendere: dai ristoranti ai bar agli shopping center. Questo significava che se tu volevi entrare e spendevi dei soldi e vedevi la partita, quando uscivi non pagavi il parcheggio, altrimenti c'era il pullmino che ti portava fin sotto lo stadio e pagavi uno o due dollari, ora non ricordo bene. Avere uno stadio proprio significa anche questo. Purtroppo per fare una legge di riforma sugli stadi a noi non sono bastate due legislature. Questo per dire che anche la politica ha le sue belle responsabilità. A questo aggiungiamoci sicuramente una cecità da parte delle nostre società a sperperare denari in maniera assurda. Invece di incentivare i vivai e aiutare a mantenere questo sistema dove merita. Guardi che in Germania avevano i nostri stessi problemi: ne sono usciti in tempi brevissimi e adesso il calcio tedesco è uno dei più interessanti e appetibili a livello internazionale, con stadi pieni e confortevoli".

Lei cita la Germania. Però l'impressione è che lì, come dice bene, abbiano capito la lezione, mentre qui in Italia abbiamo sempre l'idea di essere i migliori di tutti e viviamo i cambiamenti con la puzza sotto il naso, di quelli che non hanno nulla da imparare da nessuno.

"Noi siamo presuntuosi, indubbiamente. Abbiamo avuto dei momenti storici importantissimi, in cui avremmo potuto fare delle riforme in cui nessuno avrebbe potuto dire nulla. Ad esempio dopo "calciopoli". In quel momento c'era il clima e la mentalità per fare una riforma seria e rifare tutto da capo. C'era un commissario, bastava che decidesse e si sarebbe fatto in un batter d'occhio. E' chiaro che poi, mettere insieme tante componenti decisionali non è facile, in Italia in particolar modo, essendoci interessi diversi e diversificati. Ogni volta bisogna mettere d'accordo la Lega di A, quella di B, la Lega Pro, poi c'è la Federazione. Aggiungo che lo Stato non ha fatto nulla per combattere la violenza negli stadi. Così oltre alla scomodità di queste strutture, c'è il reiterarsi di eventi che lasciano sgomenti. Non si può vedere in un paese come l'Italia, quello che è successo prima della finale di Coppa Italia tra Napoli e Fiorentina".

Parlando di "calciopoli", non dimentichiamo l'infamia di chi si vende le partite.

"Su quello avrei il pugno durissimo. Non possiamo accettare che il Tnas (Tribunale Nazionale dello Sport) riduca la squalifica e si torni a giocare. Sotto questo aspetto ha ragione il presidente del Coni, Giovanni Malagò, a invocare pene certe e capaci di stroncare sul nascere certi fenomeni. Quei giocatori che vengono pizzicati non dovrebbero più giocare".

Parlando della sua carriera, lei inizia con Juan Carlos Morrone dell'Avellino, nel 1974 e quella vertenza con il club irpino.

"Sì. Il ragazzo si era rotto un tendine saltando un ostacolo nel precampionato. Non aveva ancora rinnovato il contratto; in quegli anni gli accordi si ratificavano anno per anno e non c'era lo svincolo. Morrone in quel caso non avrebbe percepito neanche una lira, pur avendo avuto un incidente in cui già prestava la sua opera. Allora parlai con Campana su come regolarmi. Feci una vertenza e l'abbiamo vinta, ottenendo il rinnovo del contratto".

Quando è nata l'esigenza di far nascere la figura del procuratore.

"Secondo me nacque dal momento in cui si è iniziato a parlare dello svincolo. Prima di allora erano abbandonati a se stessi, ma poi hanno cominciato ad avere un'importanza anche sociale notevole. Le trattative di calciomercato e i relativi contratti erano sulla bocca di tutti. E ci voleva una figura che curasse gli interessi del giocatore che andasse a discutere con la controparte".

Spesso lei critica i procuratori di oggi: "anteponete la vostra immagine a quella del calciatore".

"Purtroppo stiamo assistendo al fenomeno di voler abolire la categoria degli agenti. Invece andava regolamentata più severamente tempo fa e non soltanto racchiusa in un elenco. Sono dell'idea che fosse opportuna una norma europea che dia una linea guida per gli agenti, per evitare di trovarci nella situazione attuale".

Lei non è più agente Fifa.

"Sì, da anni. Curo gli interessi dei miei assistiti da avvocato, avendo una regola e un ordine dove sono iscritto, invece di essere in un elenco".

Svicoliamo dal tema: i presidenti tifosi stanno scomparendo?

"Ormai stanno sparendo purtroppo. Erano quelli che tenevano vivo il calcio. Erano quelli con cui potevi fare un accordo con una stretta di mano. Mentre oggi neanche le carte firmate si rispettano. Siamo entrati in un mondo in cui il denaro è più importante dello sport. Ha ragione Zeman: l'etica nello sport è ormai sparita. Non sono contrario a chi vuole investire venendo dall'estero. Anzi, credo che sia uno stimolo ad adeguarci noi a questo tipo di mentalità e a questa professionalità, iniziando a rifare tutti gli stadi. Chi viene ad investire non è che lo fa per tifo, lo fa per guadagnare. Gli americani che hanno preso la Roma non è che sono romanisti, vogliono guadagnarci e lo stadio è una fonte da cui approviggionarsi. Ma è logico".

In Italia non accettiamo che qualcuno investa per guadagnare, abituati come siamo a quei presidenti ricchi scemi.

"Ma qualcuno non era neanche ricco, era solo scemo".

Lei è contrario al "fair play finanziario".

"La trovo inutile e dannosa. Come è congegnata questa norma è completamente sbagliata. Non puoi proibire gli investimenti a chi vuole entrare nel mondo del calcio. Ma poi: cosa vuol dire fair play finanziario? Se io ho i mezzi per coprire i miei debiti - perché di questo stiamo parlando - tu puoi chiedermi delle garanzie, se vuoi che investo nel calcio. Giusto. Ma ci sono mille modi, senza proibire gli investimenti. Tu vuoi spendere tot? Ok, devi garantire le fidejussioni bancarie. Ci sono le banche che sarebbero ben felici, guadagnerebbero un sacco di soldi su chi vuole investire nel mondo del calcio. E senza proibirlo. Mettiamo l'ipotesi: quale è la previsione di bilanci del Manchester City o del Paris Saint Germain, per i prossimi cinque anni? 200 milioni di euro? Devi garantirmi che quel buco nei prossimi cinque anni sia coperto. Di modo che il mondo del calcio non abbia ripercussioni negative da una tua eventuale dipartita. Questo lo capisco. Altra cosa è quando le leghe calcistiche italiane chiedono le garanzie bancarie, per evitare di trovarsi buchi tali da costringere i tribunali italiani a dichiarare i fallimenti. Quello non è giusto e capisco che si faccia di tutto per evitarlo. Però i due fenomeni sono completamente diversi. Per me il "fair play" finanziario è incomprensibile e continuo a domandarmi: ma perché?".

Nella sua veste le è mai capitato che qualche genitore spingesse perché il figlio avesse un occhio di riguardo?

"Certo, come no, ma credo che sia normale. Ho sentito tantissime volte questa frase: non perché sono suo padre, ma mio figlio è fortissimo. Cosa che nel 99% delle volte non si è rivelata vera. Lei pensi che ho allenato in vita mia una sola squadra di scuola e c'era mio figlio. Per poco non menavo all'arbitro. Questo per dirle che le aspirazioni dei genitori sono portate sui figli. Quando vengono i ragazzi da me, io dico loro: ricordate che il gioco del calcio è bello. E' anche uno sport, ma giocate. Non ne fate subito una professione e non ne fate solo una professione. Se non hai i mezzi per farne una professione seria che ti possa dar da vivere, fanne una passione".

E' un'idea quest'ultima che negli ultimi tempi sta venendo fuori in modo dirompente.

"Posso comunque giocare per il piacere di farlo, non è detto che se non divento calciatore il mondo finisce".

Ultime curve e abbiamo la bandiera a scacchi per quest'intervista: in alcuni suoi interventi lei ha dichiarato che ha conosciuto quattro grandi presidenti: Dino Viola e Franco Sensi (ex presidenti della Roma. Il primo negli anni '80 e il secondo a cavallo tra la fine e l'inizio del nuovo millennio). Paolo Mantovani (ex presidente della Sampdoria) e Giampaolo Pozzo (attuale proprietario dell'Udinese). Ci stili una caratteristica di ognuno di questi quattro uomini.

"Viola era un uomo di un'intelligenza al di sopra della media, grande signore. Sensi, uomo di grandissima umanità. Per me è stato un amico e so che anche lui mi considerava tale. Una cosa che va al di sopra di qualunque cosa. Pozzo, uomo di un'arguzia e di un'intelligenza, soprattutto di un senso pratico tipicamente friulano mostruoso. Un uomo dotato di un senso dell'umorismo eccezionale. Infine, Paolo Mantovani: il grande manager. Un uomo a cui bastava uno sguardo per far capire quello che provava in quel momento e la gente si adeguava, perché era un leader. Un uomo di grandissima personalità. Lui e Dino Viola hanno litigato da morire: si amavano e si odiavano. Avevano caratteri per molti versi molto simili".

Lei è un ammiratore di Zdenek Zeman. Si è parlato nelle ultime settimane di un suo trasferimento al Monza. Come l'avrebbe visto il boemo ripartire dalla Lega Pro?

"Non ha bisogno di ripartire, visto che ha tanti estimatori. E' un uomo che ha un'onestà intellettuale che non molti possono mostrare. Non lo dico io, ma i suoi ex giocatori: da lui hanno imparato qualcosa, magari con altri hanno vinto, ma non gli è stato insegnato nulla. E' uno dei pochi allenatori che ha delle idee sue e non è detto che siano giuste, però le ha. Non riferite, ma originali. Io quando ho un giovane, spero sempre che vada in una squadra di Zeman perché so che umanamente e professionalmente esce migliorato. Se avessi dodici o quindici fenomeni, li darei in mano a Zeman e sono convinto che in due, tre anni, diventerebbe uno squadrone".