Pavarese: "Il calcio non è di chi capisce ma di chi lo gestisce"

La difficile situazione della Serie C, l'Avellino a un passo dal ritorno in B e il futuro: tanti i temi toccati con Luigi Pavarese, esperto dirigente sportivo dal lungo curriculum che guarda da esterno il mondo della terza serie animato dai casi di Messina, Lucchese, Taranto, Turris, Foggia e non solo. Il giudizio del direttore sportivo è netto: "Le regole ci sono, vanno solo applicate. Perché non ci si riesce? Giochi politici e promesse che non vengono mantenute. Non può essere assolutamente normale sperare di risolvere le problematiche durante l’anno. I costi gestionali sono alti, il che crea non poche difficoltà. Si è spesso parlato di riforma erariale ma non è stato fatto niente, si potrebbero trovare tante formule per venire incontro alla società e aiutarle".
Un imprenditore che entra nel mondo in Serie C è dunque destinato a perdere soldi?
“Si, non vedo altre soluzioni. È difficile per qualunque società, vedi l’Avellino del presidente D’Agostino che ha impiegato 4 anni per conquistare la B spendendo tantissimo”.
Accennava all'Avellino, a cui serve un punto nelle ultime due giornate per festeggiare.
“La vittoria premia gli sforzi e la volontà della famiglia, un merito che va condiviso col direttore Perinetti e i suoi collaboratori che hanno costruito questa squadra. La società è stata poi brava a sopperire al suo esonero affidandosi alla crescita dell’amministratore unico Giovanni D’Agostino e al neo DS Mario Aiello, che ha il merito di essersi fatto accettare riuscendo a gestire un club importante”.
Grandi meriti vanno anche al tecnico Biancolino.
“Un napoletano di nascita e avellinese d’adozione, da calciatore ci ha vinto tre campionati e ha la maglia biancoverde nella pelle”.
Perché questa differenza di rendimento tra lui e Pazienza?
“Semplicemente quando c’è un cambio di allenatore i calciatori non hanno più alibi, vengono responsabilizzati. E credo sia scattato questo, unito al fatto siano stati guidati da un allenatore che conosce bene la piazza e che ha fatto da scudo alla squadra per poi pretendere una risposta sul campo”.
Andiamo dritti al punto: come mai Luigi Pavarese è svincolato?
“Perché il calcio non è di chi lo capisce ma di chi lo gestisce. Pago il mio carattere ma capisco di calcio. Non sarei dovuto scendere tra i dilettanti, è stato un errore. Ero convinto di poter far bene: quella scintilla che è scattata all’inizio si è spenta, mancando la sintonia con la proprietà ho così deciso di dimettermi”.
Manca progettualità nel calcio italiano?
“Si, è un discorso che coinvolge un po’ tutti. Sono stato un ragazzo fortunato, ho cominciato subito con grandi società e vincendo campionati, di cui uno con l’Avellino contro il mio Napoli, senza dimenticare quelli con Torino, Juve Stabia e gli anni di Napoli”.
Non si sente un po’ messo da parte? Come se mancasse riconoscenza…
“Nel calcio non c'è né riconoscenza né rispetto verso la storia. Probabilmente pago il mio carattere, ma non lo rinnego”.
C’è qualche giovane dirigente che le sta piacendo?
“Le cito Ivan Zampaglione, che è un po’ una mia creatura. Sono felice della sua crescita, sta facendo benissimo in Eccellenza al Pavia. È un ragazzo competente e lo sta dimostrando in una piazza affamata di calcio. Ha la passione, competenza e determinazione di uno che farà strada. L’ho lanciato a Modena e sono felice di vederlo maturare. È un ragazzo scrupoloso, molto attento al rapporto con i giocatori che è aspetto non semplice”.
Parlavamo anche di Aiello dell’Avellino.
“Ha avuto la fortuna di subentrare alla guida di un grande organico, la sua bravura è stata quella di farlo in punta di piedi e farsi accettare dall’ambiente”.
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