ESCLUSIVA TLP - Mi ritorni in mente : Roberto Cappellacci

89° appuntamento
02.08.2015 22:30 di  Daniele Mosconi   vedi letture
ESCLUSIVA TLP -  Mi ritorni in mente : Roberto Cappellacci
TMW/TuttoC.com
© foto di Luigi Putignano/TuttoLegaPro.com

Il 31 maggio del 1992 c'erano tutti nello stadio "Degli Ulivi" di Andria e in quell'1-0 al Chieti c'era una buona fetta di futuro che andava completata con un risultato positivo che arrivasse dalla vicina Barletta, dove il Perugia, diretta concorrente dei biancoazzurri, doveva vincere per ottenere la seconda piazza dietro la Ternana per staccare il biglietto per la serie B.

Stiamo parlando dei primi anni '90 e in Italia i telefonini erano il privilegio di pochi e le comunicazioni arrivavano prevalentemente per radio o, più comodamente, per telefono fisso. C'era bisogno che ci fosse qualcuno che rispondesse al telefono, per evitare di proseguire l'agonia che a nove chilometri di distanza sarebbe andata avanti per altri minuti interminabili. 

Momenti febbrili in campo e sugli spalti con i giocatori teatini che facevano da comparsa ad una festa che sembrava non iniziare mai. Andria attendeva con il fiato sospeso quei minuti fino a quando non c'è stato il boato liberatorio che voleva significare serie B per la prima volta. Artefice di quella storica promozione fu il commendator Nicola Fuzio, figura presidenziale a cui viene dedicato annualmente un "Memorial", allenatore era Mario Russo e tra i protagonisti in campo c'era anche il protagonista di questo 89° appuntamento con "Mi ritorni in mente": Roberto Cappellacci.

Arrivato dal Modena nel 1991, il centrocampista tutto fiato e muscoli dei pugliesi, si prende subito la scena e non solo quella, nella zona nevralgica dei pugliesi, rivelandosi preziosa pedina nello scacchiere di Mario "il rosso", che con quei ricci rossicci sapeva come governare uno spogliatoio.

Otto anni - dal 1991 al 1998 - per Roberto Cappellacci e due promozioni in B con la Fidelis Andria (la seconda fu nella stagione 1996/97). Un giocatore che non passerà mai inosservato agli occhi dei tifosi andriesi ed è per questo che TuttoLegaPro.com ha voluto intervistare in esclusiva l'attuale allenatore del Campobasso (militante in serie D) per farsi raccontare una carriera dietro ad un pallone.

Mister, benvenuto all'appuntamento numero 89 di "Mi ritorni in mente".

"E' un piacere essere vostro ospite".

Quest'anno si riparte dalla serie D e da Campobasso. Altra piazza che ha fame di calcio. Quali gli obiettivi?

"Siamo partiti da poco più di dieci giorni e l'idea della società è quella di fare un campionato da protagonisti. Ce la stiamo mettendo tutta per farci trovare pronti ai nastri di partenza. Sappiamo che non sarà facile, ma abbiamo tutti gli ingredienti adatti per fare bene".

Mister, la scorsa stagione a Cosenza non è finita bene. 

"E' finita come è giusto che dovesse finire. E' stata comunque una buona esperienza. Per la prima volta ho allenato in una piazza che per tanti anni ha fatto la serie B. Il primo anno era andata anche abbastanza bene, poi la scorsa stagione le cose non sono andate come dovevano e si è arrivati al divorzio".

I bene informati dicono che il divorzio sia dipeso da dissapori con il Direttore sportivo Meluso. Ce lo confermi?

"Assolutamente no".

Con tutte queste piazze storiche che scompaiono, vedi la stessa Barletta, che idea ti sei fatto?

"Questo ormai fa parte del cliché. Si fa fatica a fare calcio a certi livelli, soprattutto in piazze dove il blasone e la pressione richiedono di restare in categorie importanti e purtroppo le società non ce la fanno e spesso succede che debbano ripartire dal basso. Fa parte un pochino del meccanismo attuale: non c'è molto da meravigliarsi, anche se ritengo che sia giusto che vada avanti chi ha la forza economica per fare le cose in maniera attenta".

Quando stavi per appendere gli scarpini al chiodo avevi già in mente di fare l'allenatore?

"A me il calcio è sempre piaciuto: è una passione che porto avanti da bambino e ho sperato di rimanere nell'ambiente, anche perché non saprei fare altro. Non so se lo so fare l'allenatore, questo lo devono giudicare gli altri, però io ci metto la passione che mi lega a questo sport e comunque mi ha dato tante soddisfazioni, cercando di tirare avanti finché posso".

La differenza tra l'essere protagonista in campo e "spettatore" in panchina?

"Prima di tutto, quando si gioca si ha qualche anno in meno e non è neanche facile pensare ad altro. Quindi vivi la tua professione pensando a te stesso. L'allenatore è un ruolo diverso, nonostante rimani sempre nell'ambito del calcio. Un po' l'esperienza, un po' perché sei responsabile di tutto un gruppo, è chiaro che la visione è diversa. Sono due ruoli ugualmente piacevoli da fare, ma così diversi per responsabilità".

Il nostro calcio si dice che è così complesso tatticamente, però ancora adesso affascina chi viene a giocarci per la prima volta. All'estero abbiamo ancora un certo seguìto.

"Il calcio italiano è di sicuro di alto livello. Non dimentichiamo che meno di dieci anni fa abbiamo vinto un Mondiale e anche come club ci siamo fatti rispettare vincendo trofei importanti. Ci sono periodi dove devi accettare che le nuove generazioni non rispettano le attese e c'è un abbassamento del livello generale, anche se poi alla fine il calcio viene bene dove ci sono i soldi da investire. Purtroppo a volte non bastano solo i soldi, ci vogliono anche le idee e non sempre le due cose camminano di pari passo. In questo momento il calcio italiano forse non è quello di dieci anni fa, ma dobbiamo entrare nell'ottica che il campo non è per tutti".

"Il campo non è per tutti". Stai muovendo una critica a qualcuno?

"Si, in un certo senso si. Penso che il campo può dare i risultati se si affida la gestione dei club a gente competente, mentre spesso ci si fa prendere dall'entusiasmo e ci si affida a mestieranti che di calcio sanno ben poco, diciamo che l'aspetto tecnico, l'allenatore prima di tutto, diventa una foglia al vento, con i presidenti che si fanno condizionare da gente che vuol dire la loro anche senza avere voce in capitolo e così succede che il lavoro di molti mesi viene gettato al vento. Un progetto di lunga durata viene messo a soqquadro alla prima difficoltà e questo non aiuta la crescita dei settori giovanili stessi e della prima squadra. Chi ha scelto di fare l'allenatore deve adeguarsi, pensando che oggi ci sei e domani sei licenziato, quindi si bada al risultato, perdendo di vista il progetto iniziale. Manca anche un po' la cultura che in altri paesi è ben radicata".

Arrigo Sacchi dice: "In Italia possiamo girarla quanto vogliamo, ma l'importante è fare un gol. Il resto è un io speriamo che me la cavo".

"Questa affermazione si ricollega al ragionamento che ti facevo poc'anzi: se non ha tempo di portare avanti un progetto tecnico duraturo, è normale che tutti si adeguano al momento. Questo vale per l'allenatore, come per il Direttore sportivo o i giocatori stessi. Avendo come spada di damocle il risultato a tutti i costi, sei costretto a guardare ad un raggio d'azione molto limitato. Se un allenatore anche avesse un'idea per sviluppare una crescita del gioco del calcio, deve metterla da parte, perché non ci sono le condizioni per provarla. C'è poi un altro aspetto che non va trascurato ed è l'attenzione che i media dedicano al calcio stesso. Lasciamo stare i grandi club di serie A, però in piazze importanti delle categorie minori, non puoi tanto stare lì a fantasticare, devi portare i risultati e sai bene che se non li otterrai, ci sarà qualcun'altro che partirà subito dal sodo. E' un po' come un gatto che si morde la coda, ma attualmente le cose stanno così".

Rispetto a vent'anni fa i muscoli hanno preso il sopravvento sulla fantasia nel mondo del calcio.

"Si, ma non lo vedo come un aspetto negativo. E' normale che oggi i tempi sono cambiati e per vincere una partita non basta solo la fantasia, ci vuole la tecnica, i muscoli e la tenacia di voler raggiungere un determinato risultato. Magari la tecnica cresce del 10%, rispetto all'80% dei muscoli. Questo fa parte del calcio moderno, dove ci vuole tattica e forza. Se poi hai anche la fantasia, diventi un club di livello internazionale, vedi il Barcellona con Messi e il Real Madrid con Cristiano Ronaldo".

Quanto influisce un allenatore in una squadra?

"Per me fare una percentuale è riduttivo e non ci azzecchi mai. Io credo che l'allenatore sia importante, tanto quanto le altre componenti".

Mister, il calvario infinito del calcioscommesse...

"Se all'inizio mi hai chiesto il parere sulle piazze che non ce la fanno per problemi economici, adesso invece sono dell'idea opposta. Ben vengano queste punizioni, che devono essere esemplari e non permettere a chi ha sporcato l'immagine di tutto il sistema, di rifarsi una verginità sportiva che non avranno più. Se negli altri settori, uno fa il furbo, viene escluso. Ma credo che questa riflessione dovrebbe essere fatta a trecentosessanta gradi per riuscire a dare l'esempio. Devono andare avanti le persone serie e la competenza. Quando sento e leggo di queste situazioni, mi viene da pensare che ci vuole il pugno di ferro. Lo sporco nel calcio non è facile da debellare, ma dobbiamo riuscirci".

Parliamo della Fidelis Andria, argomento principale di questa intervista. Ti ricordi qualche compagno?

"Ricordo benissimo i vari Quaranta, Insanguine, per finire agli ultimi due anni di mia permanenza ad Andria con Biagioni e Lemme".

Un giocatore che aveva i crismi del campione?

"Sicuramente Nicola Amoruso (stagione 1994/95). Si vedeva che aveva la stoffa per fare calcio di un certo livello come poi è realmente avvenuto".

Ad Andria sei il capitano.

"Ad Andria ho fatto otto anni e conservo di questa esperienza un ricordo importante. Sono orgoglioso di essere stato il capitano della squadra e ad Andria sono sempre stato trattato come uno di loro e credo che tutt'ora, chi si ricorda del giocatore, ha sempre una discreta simpatia verso di me".

Mario Russo o Giorgio Rumignani?

"Così mi metti in difficoltà: mi hai fatto due nomi importanti per la mia carriera calcisticia. Non è semplice paragonarli o scegliere chi sia meglio. Russo è stato il primo allenatore che ho avuto ad Andria e di lui conservo il ricordo di una persona eccezionale. Mentre Giorgio Rumignani non posso nascondere che è il mio padre adottivo, a livello calcistico. Mi ha portato con sé in tante società e se non fosse stato per lui, non avrei mai fatto calcio ad un certo livello. Quando mi ha preso, giocavo in Seconda Categoria, non avevo ancora la testa per giocare a calcio e mi ha formato non solo come giocatore, ma soprattutto come uomo".

Cosa ti ha dato il calcio?

"Di sicuro mi ha dato la possibilità di guadagnare bene e di stare bene economicamente. Sarà anche brutto dirlo, ma credo che non ci sia nulla di male nel dirlo. Di farmi una famiglia e di avere una casa. Mi ha fatto sempre vivere in un ambiente sereno, pulito e mi ha fatto divertire tanto. Infine credo che ho fatto come mestiere quello che mi piaceva maggiormente e se all'inizio lo facevo come hobby, alla lunga sono stato anche ben remunerato per farlo".

Siamo al rush finale: un messaggio ai tifosi dell'Andria?

"Da quando sono andato via da Andria sono sempre rimasto un loro tifoso. Mi auguro che la città torni allo splendore di quando giocavo io. Non nego che un domani - magari prima che divento un pensionato - mi piacerebbe allenare questa squadra per poter ripagare il debito di gratitudine che ho nei confronti di quella città".

Quel 31 maggio del 1992, quando siete stati promossi per la prima volta in B lo ricordi ancora?

"Certamente. Avevamo battuto il Chieti di misura e attendevamo notizie da Barletta dove giocava il Perugia, che in quel momento stava pareggiando. Sono stati momenti febbrili fino all'urlo liberatorio che ci ha fatto capire che eravamo in B".

Ti definisci un allenatore spirito libero.

"Questa è una nota di colore che fece un giornalista abruzzese quando mi ha intervistato. Posso dire che questa frase non mi dispiace molto: una testa che è andata spesso per i fatti suoi l'ho sempre avuta, sia da calciatore che oggi da allenatore, quindi quel colore rappresentava in un certo senso il mio modo di vivere il mio ruolo".

Mister, l'ultima domanda è una curiosità: a Tortoreto hai aperto un ristorante "Mo bast". Come mai questo nome così particolare?

"E' il pensiero che ho fatto a mia moglie quando mi ha regalato la quarta figlia femmina".

C'è un "mo bast" che vorresti gridare a qualcuno?

"A tutti quelli che cercano di sporcare il mondo del calcio".

Prossima intervista per "Mi ritorni in mente": domenica 16 agosto 2015