ESCLUSIVA TLP - Mi ritorni in mente : Luigi De Canio

ESCLUSIVA TLP -  Mi ritorni in mente : Luigi De CanioTMW/TuttoC.com
Luigi De Canio
© foto di Federico Gaetano
domenica 10 maggio 2015, 22:30Altre news
di Daniele Mosconi
83° appuntamento

L'Italia in cui è cresciuto, non solo calcisticamente, Luigi De Canio era un paese che, a distanza di quasi quarant'anni si stenta a riconoscere. Oppure, come diceva De André: "Non vogliamo accettare la nuova generazione che è arrivata dopo di noi, con valori diversi dai nostri".

Era l'Italia di "Amici miei", di "Fantastico" e di Mike Bongiorno: come svago domenicale (si giocava tutti alla stessa ora) c'era la partita della propria squadra del cuore, da ascoltare rigorosamente per radio, sulle tribune del campo sportivo dove giocava la locale formazione contro un avversario che allora lo era soltanto per novanta minuti, per poi stringersi la mano e rivedersi chissà quando.
Il cuore di ogni persona era diviso tra il tifo per lo squadrone e la squadra della propria città. Tra queste c'era Matera, che negli anni '70 ha vissuto un momento di gloria, culminato con la serie B del 1977/78, con lo stadio "XXI settembre" che le cronache di quegli anni descrivono pulsante di passione.

Uno dei volti di quella squadra, diretta da mister Francesco Di Benedetto, era un giovanissimo Luigi De Canio. Partito da lontano, da una piccola realtà materana, il Football club Matera, dove inizia a dare i suoi primi calci, prima di arrivare all'approdo in prima squadra, nell'esordio contro la Salernitana del 1975 (0-0 il finale).

Le statistiche parlano di Luigi De Canio come difensore, ma le prime apparizioni le vive da attaccante. Come spesso capitava in quegli anni, specie in C, non essendoci come oggi le panchine lunghe, quando un paio di elementi di spicco si facevano male, c'era bisogno di inventarsi dei giocatori in ruoli improvvisati e non di rado si creavano i presupposti per scoperte piacevoli. Ed è il caso di De Canio che una domenica si ritrova - per la causa materana - a dover giocare da mediano davanti alla difesa, in stile Olanda di quegli anni - il Barcellona di oggi se vogliamo fare un paragone -, fino a retrocedere a terzino e libero all'occorrenza.

L'appuntamento numero 83 con "Mi ritorni in mente" per la prima volta arriva in Basilicata, nella città dei sassi, dove in alcuni quartieri il tempo sembra essersi fermato e l'impressione è la stessa che abbiamo vissuto quando De Canio ci ha parlato del presidente di quel Matera, Franco Salerno. Il suo ricordo dell'ex presidente dei biancoazzurri è molto forte e allo stesso tempo composto: "Ogni settimana vado al cimitero a trovare un mio fratello scomparso prematuramente e mi fermo davanti alla tomba del presidente. I fiori sono freschi e la lapide è pulita, rispettando il ruolo di quell'uomo che è stato Franco Salerno: in quegli istanti penso a quella sua passione viva che ancora oggi sento dentro di me e non le nascondo che il ricordo di quegli anni affiora con piacere".

In questa intervista esclusiva concessa ai microfoni di TuttoLegaPro.com, l'ex giocatore del Matera ci ha fatto rivivere la sua carriera da calciatore, senza dimenticare l'attualità, come è nel costume di questo spazio quindicinale dedicato al passato, quando il pallone era bianco e nero e l'arbitro aveva la giacchetta nera.

Mister, benvenuto a "Mi ritorni in mente".

"Per me è un piacere essere vostro ospite".

Partiamo dai suoi esordi con il Football club Matera.

"Erano tempi diversi e di questi porto dentro di me un bel ricordo. L'emozione che provai la prima volta che andai a fare questo provino. I primi allenamenti. Non c'erano tutti i vantaggi che ci sono ora. Le maglie della prima squadra mano a mano finivano alle squadre giovanili e la stessa cosa per le scarpe. I miei genitori per comprarmi il primo paio di scarpe hanno fatto i salti mortali. Non potevi permetterti spese al di fuori di un budget che era sempre troppo stretto. Anche un pallone era un lusso che in pochi si potevano permettere".

Lei ha iniziato da attaccante, per poi diventare un difensore: come è avvenuto questo cambiamento di ruolo?

"Un giorno giocavano gli Allievi B e ogni qual volta che scendeva in campo una squadra della nostra società, eravamo tutti presenti. Quella volta mancavano dei ragazzi e tra questi un difensore e mi proposi come libero. Quello era il periodo in cui imperava il calcio olandese e di natura ero attaccante, praticamente facevo il libero in modo diverso, quasi da attaccante aggiunto. In quell'occasione fui notato in quel ruolo e quando capitò di giocare in prima squadra, mi impiegarono anche come stopper oppure terzino. Dove c'era la necessità non mi tiravo mai indietro: per me era bello già soltanto vivere l'emozione dello spogliatoio con i più grandi".

Nel campionato 1978/79 il Matera arriva, per la prima ed unica volta nella sua storia, in Serie B. All'ultima giornata a Lucca si presentarono quasi cinquemila materani.

"Quella fu l'apoteosi. Il Matera era una piccola società, guidata dalla famiglia Salerno. Franco, il presidente, aveva fatto l'arbitro da giovane e aveva una passione viscerale per questo sport. Ma vede, quello era un altro tipo di calcio e lo si faceva più che altro per passione: i guadagni erano minimi e le società avevano la piena titolarità del cartellino del calciatore, non c'erano contratti obbligatori, questo permetteva un costo accessibile per tutta la stagione. I più bravi venivano rivenduti per rifare la squadra l'anno successivo: anche allora c'erano gli squadroni come Lecce, Avellino, Benevento, Salernitana. Quell'anno ci trovammo a recitare un ruolo più grande del previsto: le premesse erano per un anno di sofferenza per raggiungere la salvezza. Come allenatore c'era Di Benedetto, che dopo le giovanili arrivò nella prima squadra. Con lui impostammo una preparazione fisica adeguata, a cui andava aggiunto il fatto che il grosso dei calciatori era rimasto, facendo sì che l'amalgama del gruppo recitasse un ruolo fondamentale. Mettemmo sotto le più forti, vincendo quel campionato in maniera storica, ma quello che maggiormente mi fa piacere ricordare era il calcio che giocavamo: davvero piacevole da vedere e la gente si affezionò a quella squadra".

Eppure lei da allenatore ha dato un grosso dispiacere al Matera, quando, da tecnico del Savoia nel 1994/95, vinse i play off proprio contro la squadra della sua città.

"C'è da dire che il dispiacere che ho arrecato loro fu come una specie di scherzo del destino: appesi gli scarpini al chiodo avevo iniziato ad intraprendere il ruolo di allenatore e stavo facendo bene con il Pisticci in D. Ricordo che un paio di anni prima dovevo divenire il nuovo allenatore del Matera, poi non so per quale motivo non se ne fece più nulla. Fatto sta che andai al Savoia e dopo averlo salvato l'anno prima, la stagione successiva diedi quel dispiacere al Matera. Involontariamente ho fatto l'1-1, dopo che mi era stata tolta la possibilità di allenarlo".

Le è rimasto il sogno di allenare il Matera?

"Per ognuno di noi il legame con la propria terra non cessa mai. E' sempre forte e mi auguro e spero che un giorno, nella vita non si sa mai, possa capitare una situazione del genere, cercando di andare incontro alle esigenze di entrambe le parti".

L'attuale patron, Saverio Columella, lo conosce?

"No".

Personaggio istrionico che ha saputo riportare nei professionisti una piazza importante come quella materana.

"Noi sportivi materani siamo grati a questa persona perché ha saputo, con quella passione e quella voglia di fare, riportare il calcio che conta in una città che non meritava l'umiliazione dei dilettanti. Quello che mi fa piacere ancor di più è lo spirito che ci sta mettendo, provando a rinverdire i fasti della famiglia Salerno".

Se la sente di soffermarsi sulla figura del presidente Franco Salerno. 

"C'era un rapporto particolare tra il presidente e noi calciatori. Con la famiglia Salerno a prescindere dal rapporto professionale, mi legava un affetto che mi ha fatto sentire agli occhi del Patron Franco sempre come un figlio. Ho avuto la fortuna di giocare nella sua squadra e non dimenticherò mai la sua figura. Le dico anche un'altra cosa: ogni settimana mi reco al cimitero per andare a trovare un mio fratello scomparso prematuramente e mi fermo davanti alla sua lapide e quello è un momento che io dedico a ricordare la grande persona che è stata per me, per la mia famiglia e per la città di Matera in generale".

Parlando dell'attualità: cosa le ha insegnato questo anno senza squadra?

"Mi dispiace non essere sul campo, ma allo stesso tempo sono sereno perché fa parte del gioco. Ci sono stati dei contatti, come capita a tutti. Per la prossima stagione? Stiamo valutando, è ovvio che in questo ambiente devi tenere rapporti con gli addetti ai lavori. Quello che conta in questi casi, oltre alle esigenze professionali, le idee e la condivisione dei progetti. Non sono uno che brama per avere a tutti i costi una panchina". 

Lei parla di "condivisione dei progetti" e noi, come TuttoLegaPro.com, seguendo la ex terza serie, vediamo che i tanto sbandierati progetti se realizzati a dovere, portano lontano. Prendiamo il Chievo, che prima di diventare la realtà che è oggi, è partito dalla serie C. La stessa cosa si può dire del Sassuolo o del Carpi stesso.

"Lei ha fatto il nome di pochissime società. A parte il Chievo che ormai è una realtà del nostro calcio, per tutto il resto mi verrebbe da fare una valutazione più globale. E quanto ha influito la crisi economica che ha spazzato via grandi piazze, facendo spazio a queste realtà che sono comunque una boccata d'aria fresca. Quello che conta maggiormente nel calcio è la competenza. Vede: un imprenditore qualsiasi, che opera in un determinato campo, lavora in quell'ambiente perché ne conosce tutti i dettagli e le sfumature. Mentre nel calcio è tutto diverso: molto spesso al calcio ci si avvicina per passione, per amore della visibilità, quindi prendendo spesso decisioni che non sono mai dettate dal reale convincimento o da eventi razionali, da atteggiamenti e convincimenti dettati dalla competenza, anzi vengono prese delle decisioni portate da dei mal di pancia, da qualche giornalista amico che inizia ad insinuare qualcosa, pressioni che si possono avere dalla piazza, da qualche pseudo dirigente, qualche procuratore amico. Tutta una serie di persone che possono avere degli interessi che portano dei sommovimenti che in quanto tali portano a muovere dei denari. Quegli stessi denari che tira fuori una sola persona, in maniera irrazionale. E non sempre la scelta è quella giusta".

Lei ha allenato anche in Inghilterra: il Queens Park Rangers di Flavio Briatore nel 2007/08. Si parla spesso della eccessiva intensità che si vive nelle partite del calcio inglese rispetto a quella che, viceversa, manca al nostro calcio.

"E' vero a metà questo suo pensiero. Ci sono metodi di allenamento diversi rispetto all'Italia: in Inghilterra non si svolgono mai due sedute giornaliere, anche per motivi logistici. Spesso, almeno durante la settimana, dopo aver fatto un allenamento intenso, il giocatore inglese necessita di una giornata di scarica. Però, come dice bene lei, durante gli allenamenti e nella partita in particolar modo, se c'è da recuperare un pallone al novantesimo che sta per finire sul fondo, questi c'è, cosa che da noi non si fa. Questo, il pubblico al di là del risultato, lo apprezza e applaude l'impegno e la voglia di non mollare. C'è da aggiungere anche un altro aspetto: il calcio inglese e la stessa Nazionale non hanno elementi di spicco capaci di uscire fuori a livello internazionale. Sono gli stranieri che elevano il tasso tecnico di quel campionato".

Come mai in Italia l'assioma: vittoria calcio spettacolo non funziona?

"Da sempre, come cultura, abbiamo questo atteggiamento nei confronti del risultato. Siamo un paese povero che è venuto fuori anche aguzzando l'ingegno. In tutti gli aspetti della vita il popolo italiano ha tirato fuori dal cilindro il coniglio utile al proprio scopo".

Possiamo dire che siamo figli di Machiavelli: il fine giustifica i mezzi.

"Guarda caso lo stesso Machiavelli era italiano".

Juventus, Napoli e Fiorentina in semifinale delle coppe europee. C'è una riscossa del nostro calcio?

"Non lo so. Se guardo all'estero, penso ad esempio al calcio inglese: la Nazionale non produce giocatori di caratura internazionale, se non in quei due tre elementi che però non hanno mai oltrepassato i loro confini, rimanendo nei club di appartenenza. In Germania dopo la mazzata del 2006 hanno investito e molto, ma oltre al Bayern, non vedo molto altro: lo stesso Wolfsburg è stato ridicolizzato dal Napoli. In Italia abbiamo avuto, fin dal passato, la tendenza a investire sui calciatori pronti, senza mai cercare di fare un discorso più ad ampio respiro sui giovani. Non si è investito sulle strutture, ma quello che maggiormente necessita il nostro calcio è la competenza di gente che sappia di calcio anche a livello federale. C'è bisogno di una sinergia maggiore tra i club di A e di serie C. Con questi ultimi club come fucina per creare i calciatori di domani. Dando, ove necessitasse, dei contributi per non farle affondare".

Stiamo per concludere: è il modulo che esalta il giocatore o il contrario?

"Sono del parere che il modulo non c'entri assolutamente nulla. Quando l'arbitro fischia il calcio d'inizio e si muove la palla, si occupano tutte le zone del campo e si stravolge ogni ipotetico modulo. Quello che conta maggiormente è la qualità del calciatore, l'aspetto psicologico, la capacità di vivere ogni momento della partita come un gioco, perché non dimentichiamo che è un gioco. Senza la qualità dei giocatori però noi adesso staremo parlando di aria fritta. La storia dei grandi club non l'hanno fatta i moduli o gli allenatori. Le grandi squadre si ricordano per la qualità dei campioni che hanno avuto in rosa. Chi ricorda l'allenatore del Real Madrid che vinse cinque Coppe Campioni di fila? Chi ricorda l'allenatore del grande Ajax anni '70? Noi ricordiamo i giocatori, non i moduli o gli allenatori".

Un campione come si riconosce?

"Dalla semplicità con cui riesce a fare le cose che per gli altri diventano difficili".


Prossima intervista per "Mi ritorni in mente": 24 maggio 2015.