Se la rabbia della ragione diventa urla sguaiate ci perdono tutti: così la Serie C rischia solo di offrirsi come capro espiatorio
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Passano i giorni e, oggettivamente, di Serie C continua a parlarsi soprattutto per quello che succederà a Taranto e Turris. Alla fine saranno escluse, ma servirà un po’ di tempo ed è normale che sia così: esistono delle procedure, esiste il diritto alla difesa, esistono dei tempi tecnici che garantiscono tutti anche se può sembrare tempo perso. In settimana, peraltro, abbiamo registrato un episodio curioso: dopo la chiusura delle indagini della Covisoc sul Taranto - ovviamente relative solo all’ultimo trimestre - si è diffusa la voce che il club fosse salvo. Invece era solo il primo passo verso l’estromissione, nonché la conferma che spesso chi parla non conosce a fondo ciò di cui sta disquisendo. Problema non da poco: attenzione, cari lettori, a di chi vi fidate.
Gli ultimi giorni, sempre nel girone C, hanno registrato un netto innalzamento dei toni. Protesta, come è in gran parte normale che sia, sopratutto chi si rivedrà riscritta la classifica in senso pesantemente negativo dopo l’esclusione delle due società. È tornata in voga la definizione di “campionato falsato”: in tutta onestà, è difficile contestarla. Chi si arrabbia, lo diciamo chiaramente, ha ragione: l’esclusione di due squadre, sulla cui iscrizione peraltro vi erano dubbi dal minuto zero, a questo punto della stagione, pregiudica in maniera irreparabile la regolarità sportiva della stagione. Questo è un dato di fatto.
Altro conto è se la rabbia di chi ha ragione si trasforma in una serie di urla sguaiate che alla fine mandano solo un messaggio: è tutto brutto, è tutto da buttare. Così non si aiuta nessuno, e soprattutto la Serie C non si aiuta da sola. Quello a cui stiamo assistendo è uno dei casi più clamorosi delle ultime stagioni, dopo alcuni anni di grande tranquillità, e va detto, ma l’unico modo per tenere tutto insieme è farlo in maniera costruttiva. Un esempio: la regola sulla “cancellazione” delle partite giocate è discutibile, per carità. Ma noi c’eravamo anche prima che venisse riformata e possiamo assicurare chi non c’era che finiva anche peggio. Per una semplice ragione: quando si verificano crisi del genere, non c’è una soluzione che risolva tutto. Ma le regole si fanno prima e non si discutono in base alla convenienza.
Il tema di fondo, ci pare, è che infilarsi in proteste sguaiate e populiste, per quanto possa tornare comodo anche nei rapporti con la piazza, finisce per fare soprattutto il gioco di chi non vuole bene alla Serie C. Saranno mesi delicati, in cui il numero di squadre partecipanti al campionato verrà messo pesantemente in discussione, perché in fin dei conti è lo slogan perfetto: tagliamo 30 o 40 squadre, et voilà abbiamo risolto il problema. Ovviamente non è così, ma se la C si offre come capro espiatorio diventa tutto più complicato. Serve, invece, una riflessione più seria, anche portando esperienze maturate in altri settori professionali o idee nuove: pure critiche dure, ma costruttive. Serve discutere dei controlli all’iscrizione, della riduzione dei costi - crediamo più semplice da attuare rispetto all’aumento dei ricavi: una la controllo, l’altra no -, del contributo delle seconde squadre, anche per carità dell’eventuale modifica del format. Ma serve partire da un punto di partenza comune: o si ragiona di sistema o non si va da nessuna parte.
Testata giornalistica Aut.Trib. Arezzo n. 7/2017 del 29/11/2017
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